23 maggio 2012 14:28

Nell’ultimo numero dei [Cahiers du Cinéma][1], il mensile francese considerato un pilastro della auteur theory e della critica cinematografica più pura e integralista, c’è un articolo interessante del direttore, Stéphane Delorme, dal titolo Les experts (de la poudre aux yeux), Gli esperti (della polvere negli occhi).

Nell’articolo, Delorme prende di mira quella che secondo lui è la tendenza, in alcuni film furbi e leccati, a giocare con un look d’autore a fini commerciali. Come esempio cita tre pellicole recenti,

[Millennium][2], [Drive][3] e [La Talpa][4].

Non sono del tutto d’accordo con l’analisi di Delormes: rivela una certa dose di snobismo culturale. Alla fine, come scrive un utente francese [su un forum][5] online, criticare un film attaccando il suo pubblico non è da professionista serio e responsabile.

Detto ciò, dopo aver visto On the road di Walter Salles, che passa in concorso oggi a Cannes, devo ammettere che c’è della farina nel sacco di Delormes. Questo adattamento del famoso romanzo di Jack Kerouac, che definì e consacrò la cosiddetta beat generation, è sostanzialmente un film da polvere negli occhi.

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On the road si presenta come una brochure della beat generation. Sal Paradise (l’alter ego di Kerouac nel romanzo) e Dean Moriarty (maschera narrativa dell’amico e musa di Kerouac, Neal Cassady), sono interpretati nel film da due belloni, Sam Riley e Garrett Hedlund. Per Kristen Stewart (la Bella Swan della saga Twilight), un personaggio minore del romanzo – Marylou, la prima moglie di Dean – è stato gonfiato fino a farlo diventare il terzo polo di un triangolo che non esiste in questa forma nel libro. Ma forse non c’è niente di male in tutto questo. Una trasposizione cinematografica di un libro o di un’opera teatrale non deve necessariamente essere fedele, se riesce a dimostrare qualche qualità intrinseca.

Quello che delude nel film di Salles, alla fine, è il fatto che tutte le sue bellezze visive e sonore sembrano prese in prestito da altri. C’è un tocco di Edward Hopper, un pizzico di Charlie Parker, una dose di Terrence Malick. Oltre a ciò, il film soffre di un paradosso (mai del tutto risolto) lasciatogli in eredità dal libro: fondendo Rimbaud con la leggenda della frontiera americana, Kerouac si innamorò di un mito. Era un mito influente, ma era qualcosa che non esisteva nella realtà. Questo mito trova incarnazione nel personaggio di Dean: al contempo spirito libero, e mostro egoista.

Ma la poesia e lo slancio stilistico con cui Kerouac proponeva questo mito erano eccitanti, esilaranti. Nel film di Salles, anche l’euforia sembra una messa in scena.

Correzione (24 maggio 2012) Nella versione precedente c’era scritto che Cidade de Deus *è stato il film che ha lanciato la carriera internazionale di Salles. *

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