Nel Regno Unito uno studio della Joseph Rowntree foundation sul reddito minimo necessario per assicurare un tenore di vita “accettabile” ha suscitato un dibattito nazionale, con interventi interessanti sul Guardian, sulla Bbc e e sul Telegraph.

Paradossalmente, l’autorevolezza del rapporto si basa sul presupposto che, almeno nei paesi ricchi, dove la fame e la malnutrizione non sono problemi largamente diffusi, la povertà è un valore soggettivo. Invece di chiedere a un gruppo di esperti o a un comitato di politici di stabilire un reddito minimo, basato su un paniere di prodotti e servizi (un’operazione che spesso ha poco a che fare con la realtà), la Rowntree foundation si è fidata del buon senso della gente, rivolgendosi a 21

focus group formati da diversi tipi di nucleo familiare: famiglie di due adulti con bambini, famiglie di due adulti senza bambini, single, genitori soli, pensionati, eccetera. Le domande fondamentali erano: qual è il minimum income standard (Mis, standard minimo di reddito) per la categoria di nucleo familiare alla quale appartieni? Quali sono i beni e i servizi necessari per garantire a te, o alla tua famiglia, un tenore di vita dignitoso? E qual è il reddito minimo annuale necessario per arrivare a questa soglia?

È chiaro che la definizione di “dignitoso” è l’elemento più soggettivo di questa ricerca: ma, intelligentemente, anche questa definizione è stata affidata ai focus group. Gli intervistati sono stati d’accordo sul fatto che lo standard minimo “non include solo le spese per i generi alimentari, i vestiti e la casa. Si tratta di avere ciò che serve per cogliere le opportunità e poter fare le scelte che ci permettono di partecipare alla società. Dunque, l’idea di un minimo va al di là della mera sopravvivenza. Ma non comprende i beni di lusso”.

A questo proposito ho trovato molto azzeccato il commento di Tim Worstall nel suo blog sul Daily Telegraph. È raro che mi trovi in sintonia con questo quotidiano conservatore di vecchio stampo, ma essendo di vecchio stampo e per niente neocon, si dimostra spesso molto ecumenico nei blog che ospita, come in questo caso. Worstall ci ricorda che “Adam Smith ha osservato che una camicia di lino non è una necessità, ma se vivi in una società che considera la camicia di lino come un segno di benessere, il fatto di non poterla comprare ti rende povero agli occhi di quella società”.

Questi sono gli standard minimi di reddito lordo annuo identificati dal rapporto Rowntree per tre categorie di nucleo familiare:

• Per una famiglia di due adulti, entrambi lavoratori, con due bambini di 3 e 7 anni: 36.728 sterline (46.600 euro)

• Per una famiglia monoparentale con un bambino: 23.862 sterline (30.250 euro)

• Per una persona single: 16.383 sterline (20.800 euro)

Oggi, un quarto di tutte le famiglie britanniche, ovvero circa 17 milioni di persone, vive al di sotto di queste soglie.

Ma la cosa che fa più riflettere è che, rispetto ai primi calcoli fatti dalla fondazione Rowntree nel 2008, una famiglia con due bambini oggi deve guadagnare cinquemila sterline (6.330 euro) in più per raggiungere lo standard minimo. Questo vuol dire che mentre gli stipendi calano e i licenziamenti aumentano (tra il settembre del 2008 e l’aprile del 2012 nel Regno Unito si sono creati un milione di nuovi disoccupati), il costo della vita cresce. Tra i fattori che emergono dallo studio Rowntree per spiegare questo incremento ci sono:

• i tagli al trasporto pubblico - già di scarsa qualità e quasi ovunque in mano a privati che tendono a stabilire dei prezzi folli - hanno reso necessaria l’aggiunta di un’automobile (di seconda mano, per la precisione una Ford Focus 1.4) al paniere delle prime necessità per l’edizione 2012 del rapporto; nel 2008 la macchina era ancora considerata un lusso;

• i tagli ai sussidi familiari da parte del governo Cameron nel 2011;

• il fatto che la maggior parte delle famiglie di lavoratori con bambini ormai considera la connessione internet una necessità, non un lusso;

• gli aumenti dei prezzi, che superano il tasso d’inflazione, dai generi alimentari alla benzina alle utenze di luce, gas e telefono;

• l’aumento spaventoso degli affitti sociali o agevolati, che nel Regno Unito sono, nella maggior parte dei casi, sotto il controllo diretto del governo. Solo nel mese di aprile 2012 sono aumentati del 6 per cento rispetto a un tasso d’inflazione del 3 per cento. E la coalizione di governo ha dichiarato che vuole portarli in poco tempo all’80 per cento del valore reale di mercato;

• l’aumento in un solo anno delle tasse universitarie nella stragrande maggioranza delle università inglesi (con effetto da ottobre 2012) da 3.350 sterline (4.235 euro) a 9.000 sterline (11.380 euro!). Si potrebbe obiettare che questo elemento incide poco su una famiglia con due bambini di 3 e 7 anni come quella usata come riferimento nel rapporto Rowntree, ma un altro studio recente illustra come la metà dei genitori britannici comincia a mettere da parte i soldi per la carriera universitaria dei figli quando questi ultimi hanno solo tre anni.

Oltre a farmi riflettere con un po’ di rabbia su quanto poco ci vorrebbe, in termini di politica finanziaria, per dare a milioni di persone la possibilità di condurre una vita più dignitosa e socialmente attiva, il rapporto Rowntree mi intriga anche per motivi antropologico-nazionali. Da inglese residente da tanti anni in Italia, con uno stipendio che supera di poco lo standard minimo identificato dallo studio, mi accorgo quanto ormai mi discosto dalla fotografia di una vita media britannica che traspare da questa stima di spese (le voci principali del paniere Rowntree sono riassunte qui).

Solo 90 sterline all’anno (114 euro) per ristoranti e cibi da asporto rispetto, per esempio, alle 694,20 sterline (878 euro) annue che le famiglie britanniche stimano come il minimo necessario per latte e derivati? Ma siamo matti? Però, è vero: gli inglesi, almeno quelli meno abbienti, ormai mangiano fuori pochissimo, e i pub sono pieni di offerte del tipo “Curry and beer for £5!”.

Dall’altra parte, però, le 147,85 sterline (187 euro) settimanali che troviamo sotto la voce childcare mi sembrano, da questa parte delle Alpi, eccessivi. Mia moglie e io, quando nostra figlia era piccola e abitavamo a Roma, essendo tutti e due inglesi, non abbiamo avuto la possibilità di approfittare del sistema di childcare più diffuso in Italia – i nonni – ma nonostante questo non siamo mai arrivati a spendere così tanto tra babysitter, asilo e scuola, anche aggiustando la cifra per l’inflazione. E non credo che le cose siano cambiate rispetto a 15 anni fa (ma vi prego di correggermi se sbaglio). Però, parlando con i miei amici inglesi, mi rendo conto che il totale riportato dal rapporto Rowntree è verosimile. Avere figli nel Regno Unito costa tanto.

Sarebbe interessante a vedere uno studio condotto secondo gli stessi criteri in Italia: chiedere a un popolo (e non a un governo o a un gruppo di esperti) di elencare le sue necessità è un’operazione utile nella lotta contro la povertà, ma è anche uno specchio socioculturale rivelatorio.

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