09 giugno 2017 16:15

Doveva essere una pura formalità, la mossa audace di una premier sicura di poter raddoppiare i consensi e distruggere il capo dell’opposizione laburista con una vittoria facile. Facile perché praticamente garantita dai sondaggi, che al momento dell’annuncio delle elezioni anticipate davano ai conservatori 24 punti di vantaggio.

Facile anche perché May giocava tutto sul presunto consenso che la circondava. Consenso confermato da molte fonti, come, per esempio, un sondaggio condotto per The Observer e pubblicato il 22 aprile, cinque giorni dopo l’annuncio a sorpresa delle elezioni, in cui il 49 per cento degli intervistati aveva detto di approvare il governo May, contro il 18 per cento che preferiva le qualità di leadership del laburista Jeremy Corbyn.

Invece la snap election indetta da Theresa May con tre anni di anticipo sul mandato del suo governo conservatore si è rivelato un errore di giudizio clamoroso, ed è sfociata in un hung parliament (parlamento appeso, o anche impiccato, cioè senza un partito che abbia una maggioranza per governare).

La zappa in testa
È stata una notte di superbia politica da insegnare nelle scuole, ed è riassunta in tre tweet.

Il primo è di Chris Mason, corrispondente parlamentare della Bbc, che riporta una dichiarazione del deputato conservatore Nigel Evans: “Non ci siamo dati una zappa sui piedi. Ci siamo dati una zappa in testa”.

Il secondo è dell’europarlamentare olandese Sophie in ‘t Veld, che ha creato una task force all’interno del parlamento europeo con il compito di esaminare il trattamento dei residenti comunitari nel Regno Unito: “Cameron ha perso al gioco. May ha perso al gioco. Il partito conservatore comincia a somigliare a un casinò”.

L’ultimo tweet è di Nigel Farage, sicuramente il catalizzatore politico più insulso della storia umana, fatta eccezione per l’imperatore romano Commodo: “L’articolo 50 era stato attivato ed eravamo sulla strada giusta. Adesso Theresa May ha messo tutto questo a repentaglio”.

Tre spunti di riflessione
Mentre scrivo, con i risultati di un seggio su 650 ancora da annunciare, è chiaro che i conservatori di May possono sperare di formare un governo solo con l’appoggio del Dup, gli unionisti democratici dell’Irlanda del Nord, che rappresentano la maggioranza protestante ed euroscettica della regione confinante con la Repubblica d’Irlanda creata dalla partizione del 1921.

È ovvio che gli unionisti non esiteranno a strappare concessioni al governo in cambio del loro voto. Dunque, una delle tante conseguenze della scommessa persa di May sarà, forse, buttare all’aria il fragile processo di pace irlandese nato dagli accordi del Venerdì santo del 1998. Anche se va riconosciuto che il Dup, consapevole della necessità di mantenere buoni rapporti con il suo vicino comunitario, con cui condivide la frontiera meridionale, non è propenso alla “Brexit dura” finora voluta da May.

Da una notte convulsa, cominciata con lo sgomento conservatore davanti a degli exit poll che sconfessavano quasi tutti i sondaggi precedenti, sono venuti fuori tanti spunti di riflessione sullo stato d’animo di un paese sempre più schizofrenico (basta guardare la Scozia, dove i nazionalisti dello Scottish national party hanno avuto un tracollo). Eccone tre che mi sembrano degni di nota.

  1. Un leader dichiaratamente di sinistra, massacrato dai tabloid e che ha condotto una campagna elettorale vecchio stile, uscendo, consumando scarpe, parlando in maniera concreta di un programma, rifiutando le provocazioni, può ancora mietere consensi. Fino a ieri la leadership di Jeremy Corbyn, appoggiato dalla base del partito laburista ma non da molti dei suoi stessi deputati, era a rischio. Adesso è Theresa May a barcollare, dopo aver fatto emergere le profonde spaccature all’interno del suo partito. Di fatto, il tentativo di May di giocare a personality politics è stato indebolito dalla sua mancanza di personality. L’aggettivo che si sentiva più spesso a proposito del suo atteggiamento in campagna elettorale è stato robotic.
  2. Le ultime consultazioni nei due più importanti paesi anglofoni (una quasi esattamente un anno fa in questo stesso paese) avevano spinto molti commentatori a lamentare il diffondersi di una epidemia di stupidità: ecco invece un voto che dimostra come gli elettori non si lascino influenzare o ricattare così facilmente. E come siano anche diventati attenti semiologi. Un tormentone di questa campagna elettorale è stato strong and stable government (governo forte e stabile), che somiglia a uno slogan inventato dallo stratega australiano Lynton Crosby, altrimenti detto il mago di Oz per la sua abilità di produrre risultati fantastici per i suoi clienti (tra cui Boris Johnson, che ha vinto due mandati come sindaco di Londra nel 2008 e nel 2012). May è stata presa in giro per la ripetizione incessante di questo mantra perfino dal Daily Mail, che solitamente appoggia acriticamente i conservatori.
  3. Questa doveva essere una campagna elettorale dominata dalla Brexit. Invece non lo è stata. I britannici sono logorati dalla Brexit. Qualcuno, certo, ha creduto o almeno si è sottomesso alla minaccia che senza un governo forte e stabile non sarebbe possibile negoziare un accordo favorevole agli interessi del paese: alla fine, i conservatori sono comunque usciti come il partito più votato con circa il 42,5 per cento dei voti contro il 40 per cento dei laburisti. La campagna non è stata neanche influenzata più di tanto dagli attacchi terroristici di Manchester e Londra. Invece la possibilità di scegliere di nuovo i rappresentanti a Westminster ha spinto molti a farsi domande di fondo come: “E la mia pensione? Il sistema sanitario? Le scuole?”. La gaffe più seria di tutta la campagna è stata l’inversione di rotta conservatrice sulla cosiddetta dementia tax, o “tassa sulla demenza senile”, che, in breve, proponeva di togliere l’assistenza sanitaria gratuita se il patrimonio delle persone che soffrono di questa malattia supera le centomila sterline, compresi i beni immobili. Con la conseguenza che molte persone anziane che hanno lavorato e risparmiato una vita per avere una casa potranno lasciare poco o niente agli eredi, in un paese dove il costo medio di un posto in una casa di riposo specializzata si aggira sulle cento sterline a notte. Dopo qualche giorno di bufera, Theresa May ha dovuto modificare la proposta contenuta nel programma del suo partito, ma a questo punto il danno era già fatto. Tutto questo a dimostrazione, forse, che l’istinto umano per l’uguaglianza e la giustizia sociale non è del tutto tramontato come qualcuno vorrebbe farci credere.

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