25 marzo 2015 12:02

In Italia la necessità di intensificare la lotta alla corruzione è riconosciuta da tutti, a parte corrotti e corruttori. Mose, Expo, P3 e P4, la cricca di Angelo Balducci, il “sistema” di Ettore Incalza: il malaffare è pervasivo e onnipresente. Le conseguenze sono pesanti: l’Italia spende male le poche risorse a sua disposizione, permettendosi opere strapagate ma inutili e mal realizzate.

A parole, il governo di Matteo Renzi sembra intenzionato ad agire con decisione. Renzi ha chiamato Raffaele Cantone a fare il commissario anticorruzione, mentre in parlamento si discutono le leggi sulla prescrizione e sulla corruzione.

Potrebbe quindi sembrare che siamo sulla buona strada, che la svolta sia finalmente in atto. Ma a ben guardare è un’altra svolta a metà. Prendiamo il caso della prescrizione. È strano ma vero: in altri paesi non è mai oggetto di dibattito, di confronto o scontro fra forze politiche. Altrove infatti l’imputato non ha nessuna speranza di farla franca grazie al semplice scorrere del tempo, per il semplice fatto che il procedimento penale ferma la prescrizione. Solo in Italia esiste un sistema che incentiva imputati e avvocati a tirarla per le lunghe, aspettando la prescrizione anche durante il processo.

Spesso funziona: recentemente l’ex dirigente della Juventus Luciano Moggi e gli altri imputati del processo “calciopoli” l’hanno fatta franca, ottenendo la prescrizione in cassazione. Moggi ne ha approfittato per bollare tutta l’indagine come “uno scherzo durato nove anni”. È in ottima compagnia: anche Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi hanno spacciato le loro prescrizioni per assoluzioni, facendosi passare per vittime di accuse ingiuste mentre erano semplicemente beneficiari di un sistema assurdo.

Ora il governo vuole cambiare rotta, ma solo a metà. In futuro la prescrizione sarà sì interrotta, ma solo dopo la sentenza di primo grado. Come se non bastasse, anche quell’interruzione ha dei limiti. Vale per due anni durante l’appello, per un anno quando il caso è approdato in cassazione, poi la clessidra riprende a correre, a tutto beneficio dell’imputato. Quindi l’incentivo a intraprendere azioni dilatorie per rallentare il processo rimane in piedi. Non meraviglia che il confronto tra il Pd di Renzi e il Nuovo centro destra (Ncd) di Angelino Alfano ricordi un mercato. Il Pd vuole calcolare la durata della prescrizione partendo dal massimo della pena più la metà, fissando per esempio a 15 anni il termine di prescrizione per un reato punibile con un massimo di dieci anni? Ncd risponde che può bastare il massimo della pena più un terzo.

Processi lunghi, cavilli, ricorsi: almeno per quegli imputati che si possono permettere stuoli di avvocati preparati e agguerriti non cambierà molto con le nuove norme. Il loro argomento: l’imputato ha diritto a un processo di durata ragionevole. Il risultato di questo “garantismo” a senso unico è l’impunità quasi generalizzata, almeno per i colletti bianchi. Anche se molte forze del centrodestra e non solo spacciano l’Italia per un paese forcaiolo e giustizialista, in cui giudici giacobini la fanno da padroni, i numeri dicono l’opposto: un paese della cuccagna per corrotti e corruttori. Infatti, secondo il Corriere della Sera, solo 230 persone sui 53mila detenuti nelle carceri italiane sono colletti bianchi, un assoluto record negativo tra tutte le democrazie occidentali.

Queste cifre non sono un segreto. E non è un segreto come si possa invertire la rotta. Basta fare come gli altri paesi, dove il procedimento penale interrompe la prescrizione.

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