20 maggio 2016 10:06

Era un grande Marco Pannella. Grande soprattutto perché sapeva trasformare la debolezza in forza. Di solito i partiti dell’1 per cento non fanno che stimolare sorrisetti, ironie, commenti tra il sarcastico e l’accondiscendente. E di solito quei partiti non incidono granché (anche se in Italia, grazie alla frantumazione politica, spesso e volentieri, potevano servire ai loro leader, sconosciuti ai più, per assicurarsi un posto in parlamento con le giuste alleanze).

Invece il Partito radicale, grazie a Pannella, era diverso. Non ha superato mai il 3 per cento, di solito si è fermato a soglie molto più basse (tranne per l’exploit isolato della Lista Emma Bonino alle elezioni europee del 1999, quando prese l’8,5 per cento dei voti). I radicali sono rimasti senza seggi in parlamento in parecchie legislature, ma anche quando sono stati presenti si sono fermati a quattro-sei deputati. Ma quel partitino dava del filo da torcere e seppe incidere sull’Italia in una misura ben maggiore rispetto alle sue piccole dimensioni.

Vascello corsaro

Bettino Craxi affermò che i voti non si contano ma si pesano. L’avrebbe potuto dire anche Marco Pannella. Ma mentre Craxi faceva pesare i voti del Psi sulla scacchiera del potere a Pannella non importava niente di quel potere: non voleva piazzare se stesso e i suoi dirigenti nei gangli dello stato e del parastato, ma voleva cambiare l’Italia. La voleva rendere più laica, in perenne polemica sia con i democristiani sia con l’altra grande chiesa, quella dei comunisti del Pci, più aperta, più libera.

Per raggiungere questo scopo fece di necessità virtù, trasformando il suo partito in un vascello corsaro che si muoveva agilmente tra gli incrociatori dei grandi partiti. Erano due le sue armi principali: i referendum e la spettacolarizzazione della politica, fatta di scioperi della fame o di spinelli fumati in piazza.

Per molti l’antiproibizionismo era roba da hippie, oggi invece se ne discute, finalmente, come strumento adatto per contrastare le narcomafie

Il Partito radicale irrompe sulla scena nei primi anni settanta con la campagna per il referendum abrogativo della legge sul divorzio. Il Pci non ci credeva davvero, in parte perché sin dai tempi di Togliatti aveva sempre voluto evitare le “guerre di religione”, in parte perché credeva che, nell’Italia cattolica, quella fosse una battaglia persa in partenza, e in parte perché trattava i diritti civili come “roba da borghesi”. Ma Pannella e i radicali avevano capito che anche in Italia i tempi erano cambiati.

Seguirono tante altre battaglie, sull’aborto, per i diritti dei gay e delle lesbiche, per l’ecologia quando ancora un partito verde non c’era, per l’affermazione di politiche antiproibizioniste sulle droghe, contro la fame nel mondo o contro la disumanità delle carceri italiane, per il diritto delle persone a morire con dignità. Spesso e volentieri quelle battaglie gli causarono feroci attacchi o solo risposte sarcastiche. Per molti l’antiproibizionismo era roba da hippie, oggi invece se ne discute, finalmente, come strumento adatto per contrastare le narcomafie.

E sono stati derisi anche i metodi di Pannella, a cominciare dagli scioperi della fame e della sete, secondo i suoi detrattori a base di “cappuccino e cornetto” anche se le immagini, puntualmente trasmesse dai telegiornali, lo mostravano pallido ed emaciato. Di quegli attacchi lui, libertario e libertino, non si curava.

Certo, sono state discutibili alcune sue scelte di alleanze alquanto spregiudicate. Negli anni ottanta aveva puntato su Bettino Craxi, poi nel 1994 su Silvio Berlusconi. Lo fece nella convinzione di potere, in questo modo, rompere le incrostazioni del sistema politico italiano minando lo strapotere dei partiti e delle corporazioni. Ma quelle scelte rimasero episodi nella sua battaglia lunga una vita per rendere l’Italia un paese più moderno e più umano. Molte di quelle battaglie sono ormai vinte, altre sono ancora aperte. Ma se oggi discutiamo di diritto a disporre della propria vita o di antiproibizionismo in modo molto diverso rispetto a qualche anno fa, lo dobbiamo in buona parte a Marco Pannella.

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