17 maggio 2016 12:20

Nell’autunno del 1967, centinaia di uomini di tutte le età si precipitarono nei pronto soccorso degli ospedali di Singapore con il pene in mano, convinti che si stesse rapidamente ritraendo nel loro corpo e che, se lo avessero lasciato, sarebbero morti. Queste crisi di panico non sono così rare come potreste immaginare.

Nei primi anni duemila, in Nigeria e Benin, diverse persone furono uccise per rappresaglia perché si riteneva avessero usato la magia per far restringere i genitali dei loro nemici. Il fenomeno del pene che sparisce – noto con il nome di koro, che gli è stato attribuito nel sudest asiatico – è citato anche nella bibbia della psichiatria, Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, e si verifica in tutto il mondo da secoli.

La reazione più comune di chi legge una notizia del genere è ridere di tanta ignoranza. Ma nel suo libro The geography of madness, il giornalista Frank Bures spiega che queste “sindromi culturalmente determinate” dimostrano il sorprendente potere che la cultura e i suoi pregiudizi esercitano su di noi. Che siate beninesi, boliviani o inglesi, i guai che vi capiteranno nella vita spesso dipenderanno da quali guai pensate che vi possano capitare.

Temiamo una malattia, quindi controlliamo il nostro corpo per verificare se ne presenta i sintomi e, guarda un po’, li troviamo

Quelli che si definiscono razionalisti spesso contestano l’influenza della mente sul corpo: sembra troppo strano, per esempio, che le donne convinte di essere a rischio di malattie cardiache abbiano più del triplo delle possibilità di morire di un attacco di cuore di quelle portatrici degli stessi fattori di rischio ma che non hanno quella convinzione (è il risultato ottenuto nel 1992 dall’autorevole Framingham heart study).

Controlli intensificati

Ma a pensarci bene, non sarebbe ancora più strano se l’organo incredibilmente complesso che abbiamo nella testa non influisse su tutti gli altri organi meno complessi che coordina e controlla? Un effetto particolarmente rilevante della sua influenza, spiega Bures, è il “loop bioattentivo”: temiamo una malattia, quindi controlliamo il nostro corpo per verificare se ne presenta i sintomi e, guarda un po’, li troviamo. Questo fa aumentare la nostra paura, perciò intensifichiamo i controlli, e così via. Non è una coincidenza che in quasi tutti i casi registrati di koro la vittima fosse al corrente dell’esistenza di quella malattia, e quindi fosse più facile che la individuasse.

Lascerò ai lettori l’esercizio mentale di stabilire se è sufficiente monitorare il nostro corpo alla ricerca dei segni di una retrazione dei genitali (o dei capezzoli, nella versione femminile) per convincerci che stia succedendo sul serio. Ma c’è qualcuno che dubita del fatto che il “loop bioattentivo” ci influenza in tanti altri modi?

Continuiamo a leggere che di questi tempi siamo tutti distratti e dormiamo troppo poco, perciò non possiamo fare a meno di cercarne i segni nel nostro corpo, e puntualmente li troviamo (siete stressati? Cercate attentamente le tracce della tensione nel vostro corpo. Fatto? Ok, adesso siete stressati?).

Entriamo in rapporto con il mondo, e con il nostro stesso corpo, attraverso una fitta rete di convinzioni, delle quali siamo perlopiù inconsapevoli

Non ha importanza se all’inizio la nostra convinzione è falsa, perché crederci la rende vera. Il pene di quelle persone affette da koro non stava realmente scomparendo, ma quando hanno cominciato a credere che potesse succedere, la sensazione che si stesse contraendo è diventata reale.

E che differenza c’è tra credere di essere stressati ed esserlo veramente? Nessuna. Entriamo in rapporto con il mondo, e con il nostro stesso corpo, attraverso una fitta rete di convinzioni, delle quali siamo perlopiù inconsapevoli. Probabilmente siete tentati di dire che le vostre convinzioni sono quelle più ragionevoli. Può darsi. Ma questo, naturalmente, è quello che credete voi.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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