26 maggio 2014 17:01

Cominciamo con un mea culpa. Come la maggior parte degli osservatori non avevo pronosticato per le elezioni europee un tale trionfo per il Partito democratico e per Matteo Renzi. A dire il vero temevo addirittura una brutta sorpresa dopo aver assistito il 22 maggio al comizio del capo del governo in una piazza del Popolo a Roma mezza vuota e a quello, il giorno dopo, di Beppe Grillo in una piazza san Giovanni decisamente più piena. “Piazze piene, urne vuote”, aveva ironizzato Renzi. Ma con il 40,8 per cento dei voti ottenuti (in un contesto di partecipazione limitata ma invidiabile: il 58,6 per cento), il Partito democratico lascia l’ex comico genovese e il Movimento 5 stelle molto indietro al 21,2 per cento.

Questo successo è tutto merito di Renzi, anche se le tematiche europee sono state in gran parte assenti dalla campagna elettorale. Il capo del governo si è infatti guardato bene dal criticare Bruxelles e la Germania, proprio quando l’Italia assumerà il 1 luglio la guida della presidenza di turno dell’Europa. E gli elettori non sembrano serbargli rancore per aver riservato una delle sue prime visite ufficiali dopo la sua nomina a presidente del consiglio ad Angela Merkel, detestata invece da Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.

Per gli italiani le sue promesse di riforma rappresentano ancora una novità. Anche se alcune di esse (legge elettorale, fine del bicameralismo) rimangono per ora bloccate in parlamento. I suoi connazionali hanno deciso di puntare su di lui, alcuni rassicurati da una riduzione delle tasse per i salari più bassi di dieci miliardi. Mentre gli altri invece hanno preferito dimenticare - almeno per un giorno - i dati non troppo buoni dell’economia italiana: disoccupazione in aumento (il 12,7 per cento) e un’ulteriore contrazione della crescita (- 0,1 per cento).

Legittimando attraverso il suffragio universale questo capo del governo non eletto, gli italiani gli hanno garantito la stabilità e gli danno una forza politica - sia all’interno sia all’esterno - all’altezza della seduzione che esercita su di loro. “L’Italia non è rassegnata e non ha paura delle minacce”, ha dichiarato lunedì in conferenza stampa. “Il paese è in grado di influire sulle scelte europee”. E Renzi non ha mancato di sottolineare che i parlamentari di sinistra italiani saranno i più numerosi (31) nel gruppo S&D a Bruxelles, più numerosi addirittura dei tedeschi.

Per Grillo invece è arrivato forse il momento di ripensare la strategia. “È una guerra, o noi o loro”, ha affermato durante i suoi comizi, lasciando intravedere un suo possibile ritiro dal Movimento in caso di sconfitta. È difficile però che Grillo abbandoni. In compenso il modo di gestione dell’M5s (“purghe” nei confronti dei parlamentari recalcitranti, ostruzionismo e ricorso sistematico a internet) ha probabilmente raggiunto i suoi limiti in un paese in cui gli abitanti sono spesso male equipaggiati da un punto di vista informatico, si informano soprattutto attraverso la televisione e diffidano della violenza politica, anche se solo verbale.

E visto che una buona notizia non arriva mai da sola, Renzi può guardare con soddisfazione i suoi alleati (il Nuovo centrodestra con il quale governa) e Forza Italia di Berlusconi (con il quale ha firmato un “patto” per le riforme istituzionali) uscire molto indeboliti dalle elezioni. Adesso se vorranno far cadere il governo, ci dovranno pensare due volte: con più del 40 per cento dei voti, il Partito democratico sembra per ora una fortezza inespugnabile.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it