21 gennaio 2010 00:00

**1. Wyclef Jean,* Knockin’ on heaven’s door***

Dopo l’ecatombe di Haiti, è il tempo dei soccorsi e delle veglie, delle raccolte e della musica benefica: il rapper nativo di Port-au-Prince, cresciuto a Brooklyn ed esploso con i Fugees è in prima linea. La sua Yele Foundation, nata per dare una mano alla sua terra, ha raccolto più di due milioni di dollari via sms in pochi giorni; ma ora è anche sotto scrutinio per presunti usi impropri delle donazioni raccolte in precedenza. Comunque, si spende per aiutare; il talento e il dolore (percepibili nella sua versione della ballata di Bob Dylan) possono fare molto, si spera.

2. Gilberto Gil & Caetano Veloso, Haiti

Era una canzone sull’ineguaglianza, sul bianco e sul nero e sulle poco confortevoli vie di mezzo; era l’apertura di un capolavoro dei due grandissimi poeti/cantanti brasiliani: l’album Tropicália 2, del 1993, una di quelle cose che non invecchiano mai. Una sinuosa linea di basso, un intreccio di voci raffinatissimo, pochi incisivi inserti di chitarra e percussioni e archi, e molta cognizione del dolore. E il tutto ritorna in mente per il mantra semplice semplice che sta lì in mezzo: pensavo ad Haiti, pregavo per Haiti.

3. Lorenzo Palmeri, Precario

“Precario è come sono sempre stato / precario è come sempre sarò / precario è come sono entrato / precario è come ne uscirò”. L’equilibrio instabile secondo l’architetto milanese Palmeri, che ha un progetto pop in corso: l’album Preparativi per la pioggia. Il merito di questa canzone è che estrae una parola chiave degli anni duemila dalla comoda custodia socioeconomica (i call center, i McJobs, i cococo eccetera) e la restituisce alla dimensione più esistenziale e profonda che le compete. Sulla terra tutto è precario. Compresa la terra, che trema.

Internazionale, numero 830, 22 gennaio 2010

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