13 febbraio 2019 17:52

1. Imuri, Vieni a fallire con me
“Porto i jeans dal cinese a stringerli un po’ insieme alle mie spese”. Punto di vista non necessariamente infelice sulla decrescita da una band teramana. Non sarà andata come speravano, ma di microfallimenti (o failurchka, come nella mirabile dizione dello scrittore russostatunitense Gary Shteyngart) è lastricato ogni percorso di crescita. Gli Imuri aprono l’album Chat Hotel, entomologia del quotidiano (I cosiddetti normali, Fila indiana), celebrando il fallimento condiviso come alternativa meno ovvia al solito successo. Ne vogliamo parlare?

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2. Pashmak, Oceans
Riecco la “band milanese con origini sicule, lucane, iraniane, statunitensi”, reduce da giri tra Kosovo, Serbia e Macedonia, poeti apolidi, cavernicoli global fusion come il loro sound elettronico dall’anima notturna, con un suo mistero vagabondo ma coeso. La scimmia per i Balcani non trova eco nella musica. L’album s’intitola Atlantic thoughts, il cantante Damon Arabsolgar si attiene a un inglese midatlantic ed elargisce un solo brano in italiano. Ma il loro mondo se lo sono creati, in sospeso tra Berlino, Belgrado e altre cose belline. Sempre interessanti.

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3. Marian Trapassi, Siamo come siamo
Il bugiardino fornito ai media dice: “Uno stile preciso e omogeneo, che va dal jazz, al blues, al folk”. Che è come dire: un colore netto, che va dall’amaranto al pervinca al giallo banana. Ma è giusto una nota di colore. L’album di questa cantautrice s’intitola Bianco e il singolo Blu. È fatto di arrangiamenti gentili. E comunque siamo così, come dice questa canzone: “una mezza calzetta” ma “simpatici e brillanti” e “come minimo imbroglioni ma onesti e anche un po’ coglioni”. Conteniamo moltitudini di piccoli fallimenti, e questo ci rende sopportabili.

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Questo articolo è uscito nel numero 1293 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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