24 dicembre 2019 15:06

1. Non voglio che Clara, La Croazia
È un attimo ormai: pochi istanti a campanacci, maglioni con la renna, Mariona Carey, il Whamageddon. Agli antipodi di quel kitsch, quest’altro; con il synth sdolcinato anni ottanta, viaggi dal bellunese alla cala di Podrače, le vacanze di gente troppo giovane per essere mai stata in Jugoslavia, l’inizio di un amore, cose da estate ma con una suggestiva malinconia. Ma quando s’innamorano pure “fascisti e filistei” dev’essere proprio il presente, e il tormentone fuori stagione della prima band riflessiva post 2000 a vedere l’alba del secondo ventennio.

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2. Bardamù, Roll the dice
Che male c’è a giocare a dadi con lo spirito di Bukowski? È come una preghiera a Babbo Natale, ma meno sdolcinata. Basta seguire l’esempio di Ginasky Wop e Alfonso Tramontana, due calabresi arrivati a New York con un pacco-da-giù di nduja e attitude, un po’ Fun Lovin’ Criminals un po’ La Raza; e con amore per jazz e hip hop chicano e swing; e pure la faccia tosta di chiedere all’attore Michael Imperioli (Chris Moltisanti dei Soprano) di registrare qualche buona parola sul loro azzeccato album Stray bop. Randagi paisà ma ciudadanos del mundo.

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3. Lorenzo Palmeri, Semplice
“Dopo un anno che è passato traslocato come un treno archiviato”, un’ultima folata di cantautorato da un designer milanese. Regge ascolti ripetuti il suo album La natura del parafulmine, ché ci s’incrociano sogni e fili elettrici e sonorità avanti prodotte tra gli altri da Saturnino al basso e da Simon Tong, chitarrista migrato dai Verve ai Gorillaz. Sarà che ha collaborato con Franco Battiato, e anche disegnato formaggi leonardeschi, ma assembla idee e musica con una sua brugola d’intelligenza obliqua. Per restare curiosi nell’anno che verrà.

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Questo articolo è uscito sul numero 1338 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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