14 novembre 2018 11:31

Vi ricordate le freedom fries? È così che il congresso americano aveva ribattezzato le patatine fritte – in inglese french fries – dopo il rifiuto della Francia, all’epoca guidata da Jacques Chirac, di partecipare all’invasione dell’Iraq nel 2003. In quel momento, essere francesi e trovarsi negli Stati Uniti poteva essere problematico.

La grande differenza, dopo che il 12 novembre Donald Trump ha criticato violentemente il presidente francese Emmanuel Macron con una serie di tweet, è che buona parte dell’America non segue il suo presidente. Negli Stati Uniti di oggi non esiste il sentimento antifrancese che serpeggiava nel 2003. Al contrario, una parte degli americani vede in questa polemica un inutile scontro cercato da Trump con un alleato storico.

In fondo, però, tutto questo al presidente degli Stati Uniti non interessa. Con i suoi tweet, Trump si rivolge prima di tutto alla sua base elettorale, sempre alla ricerca di un capro espiatorio, che si tratti del Messico, della Cina, dei giornali o, come oggi, della Francia. Domani si troverà qualcun altro.

Per comprendere questa collera bisogna tenere presente i diciotto mesi del rapporto tra Macron e Trump. In occasione dei primi incontri, il presidente francese aveva cercato di ammansire, se non addirittura di sedurre il suo irrequieto collega americano. Ricordiamo la famosa stretta di mano al G7, la sfilata del 14 luglio a Parigi, i gesti affettuosi in occasione della visita di stato di Macron a Washington ad aprile.

Questo approccio “morbido” ha reso Macron un interlocutore privilegiato degli Stati Uniti, senza però produrre alcun risultato concreto. Trump ha rinnegato l’accordo di Parigi sul clima e l’accordo nucleare con l’Iran, e al confronto tratta meglio il dittatore nordcoreano che i suoi alleati europei.

In questo clima internazionale particolarmente teso, con tanto di retropensieri elettorali in vista delle europee di maggio, Macron ha deciso di alzare la voce.

Trump non funziona come gli altri, questo è evidente, ma è interessante il suo impatto in Europa

Più della sua frase mal interpretata sull’esercito europeo (Trump ha creduto che Macron volesse un esercito europeo per opporsi agli Stati Uniti), sarebbe la denuncia inequivocabile del nazionalismo nel discorso pronunciato dal presidente francese l’11 novembre – “il patriottismo è il contrario del nazionalismo” – ad aver fatto scattare Trump. Il presidente americano, infatti, si era appena vantato di essere “un nazionalista” e dev’essersi sentito chiamato in causa da Macron.

Trump non funziona come gli altri, questo è evidente. È probabile che un tweet possa smentire il precedente, anche se sorprendentemente è tornato sul tema dell’esercito europeo dopo il suo viaggio a Parigi e le spiegazioni offerte da Macron.

L’elemento più interessante è l’impatto di Trump in Europa. Il 12 novembre, nel suo discorso al Parlamento europeo, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ripreso le stesse parole di Macron per chiedere un “vero esercito europeo”, nonostante l’ambiguità della formula. La scelta dell’espressione, evidentemente, non è stata casuale.

Esistono troppi interessi che legano la Francia, l’Europa e gli Stati Uniti perché una scaramuccia via Twitter cambi la situazione, ma se l’Europa non approfitterà di questo momento per creare la sua autonomia strategica e un futuro indipendente dall’inquilino della Casa Bianca, avrà perso un’occasione storica, forse l’ultima in un mondo in piena ricomposizione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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