20 novembre 2018 11:48

In teoria l’elezione, prevista per il 21 novembre, del presidente dell’Interpol, l’organizzazione internazionale della polizia criminale con sede a Lione (in Francia), non dovrebbe suscitare più di tanto interesse. Eppure la osservano con attenzione tutti quelli che temono la crescente influenza dei regimi autoritari sugli organismi internazionali.

A ottobre una cinese si è presentata alla polizia francese per denunciare la scomparsa del marito. La vicenda è diventata interessante quando si è scoperto che l’uomo scomparso era Meng Hongwei, presidente dell’Interpol ed ex viceministro della sicurezza in Cina.

Meng Hongwei era stato convocato nel suo paese e aveva avuto appena il tempo di inviare un messaggio in codice alla moglie, in Francia. Poi è scomparso. Dopodiché ha inviato una lettera di dimissioni con una sola frase alla sede dell’Interpol. Le autorità cinesi hanno confermato che Meng Hongwei è stato arrestato con l’accusa di corruzione.

Reputazione macchiata
La vicenda ha sorpreso tutti, perché la Cina fa molti sforzi per presentare i suoi candidati per gli incarichi-chiave delle organizzazioni internazionali, e farne sparire uno al di fuori di ogni contesto legale macchia la sua reputazione.

Gli stati che fanno parte dell’Interpol hanno archiviato il tutto come una faccenda interna cinese (cosa che è), decidendo di guardare dall’altra parte.

Ma la quesitone diventa politica nell’ambito della corsa alla successione di Meng Hongwei. In lizza ci sono due candidati. Uno è sudcoreano, l’altro russo. Il russo, Alexandr Prokopčuk, è stato un alto funzionario del ministero dell’interno ed è attualmente il vicepresidente dell’Interpol.

Per i regimi autoritari la tentazione è quella di utilizzare l’Interpol per colpire gli oppositori

Dopo il viceministro della sicurezza cinese avremo il funzionario dell’interno russo? L’ipotesi può essere sorprendente, considerando che parliamo di un’organizzazione che opera nel delicato campo delle indagini di polizia.

Il rischio è che venga alterato l’operato dell’organizzazione, il cui obiettivo sarebbe quello di garantire la cooperazione tra le polizie di 192 stati contro la criminalità internazionale o il terrorismo. Per i regimi autoritari la tentazione, forte, è quella di utilizzare l’Interpol per colpire gli oppositori.

Attraverso l’Interpol, infatti, la polizia di uno stato può inviare gli “avvisi rossi” alle altre polizie per chiedere l’arresto di un ricercato. Ogni anno l’istituzione gestisce migliaia di richieste.

La carta dell’Interpol vieta specificamente le richieste a carattere politico, militare o religioso, ma negli ultimi anni abbiamo avuto molti casi controversi, su iniziativa della Turchia in Spagna o della polizia russa a Cipro. In questi casi è finita bene, ma le organizzazioni di giuristi temono una deriva politica dell’Interpol se anche il nuovo presidente arrivasse da un paese dove lo stato di diritto è messo in discussione.

Queste nomine, insomma, saranno un test sulla capacità di un paese come la Russia di far eleggere il suo candidato per un incarico così delicato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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