02 gennaio 2020 12:13

Il decennio appena cominciato rischia seriamente di essere segnato da una corsa agli armamenti favorita da due fattori: le nuove rivalità tra le potenze e le rivoluzioni tecnologiche.

Il risultato è che possiamo dimenticarci le speranze suscitate dopo la fine della guerra fredda dai “dividendi della pace”, in virtù dei quali la spesa militare degli stati si è ridotta sensibilmente, con alcuni paesi che hanno addirittura soppresso il proprio esercito. Oggi siamo molto lontani dall’appello ad abolire le armi nucleari lanciato da Barack Obama nel 2016, prima di lasciare la Casa Bianca.

Siamo entrati in un’epoca radicalmente diversa, e non mi riferisco soltanto alla Corea del Nord, che non sembra affatto disposta a rinunciare alla bomba atomica e promette una “sorpresa” strategica, o alla ripresa del programma nucleare iraniano dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo del 2015.

Tra gli attori di questa nuova corsa agli armamenti ci sono innanzitutto le prime tre potenze militari del pianeta: Stati Uniti, Russia e Cina.

In un’era in cui gli stati non combattono più frontalmente, gli eserciti diventano strumenti di potenza politica

La settimana scorsa Mosca ha annunciato che le unità di combattimento saranno dotate di un nuovo tipo di missile “ipersonico” capace di raggiungere la sconvolgente velocità di seimila chilometri orari e cambiare autonomamente traiettoria. Il missile, provvisto di una testata nucleare, sarebbe sostanzialmente ingestibile per i sistemi antimissile attuali.

L’annuncio ha sorpreso Washington. Si sapeva che i russi stavano lavorando al progetto (Vladimir Putin lo aveva ammesso pubblicamente) ma nessuno si aspettava un avanzamento così rapido.

Gli Stati Uniti non dispongono ancora di questa nuova tecnologia, avendo a lungo trascurato questo settore, né di un sistema per contrastarla. Il governo di Washington cercherà di eliminare questa debolezza, ma ci vorranno tempo e grandi investimenti nella ricerca.

Perché tutto questo sta accadendo proprio ora?

Il primo motivo è che i trattati sul disarmo e controllo firmati alla fine della guerra fredda tra Russia e Stati Uniti stanno per scadere, compromettendo l’intero quadro giuridico che frenava i due paesi con i più grandi arsenali nucleari. Nel frattempo la Cina, non coinvolta dai tratti, ha rilanciato lo sviluppo nucleare militare e non vuole ascoltare gli inviti di Donald Trump per avviare un ipotetico negoziato.

Il secondo motivo è il clima di sfida che ha riportato il mondo al classico sistema dei rapporti di forza. Paradossalmente, in un’era in cui gli stati non combattono più frontalmente, gli eserciti diventano strumenti di potenza politica.

Il terzo motivo, infine, è che i progressi dell’intelligenza artificiale e dell’automazione partoriscono nuove armi che possono avere un impatto decisivo. La Francia ha appena sviluppato nuovi droni armati, utilizzati per la prima volta la settimana scorsa in Sahel.

La nuova corsa agli armamenti è l’ennesimo segno di una regressione globale. Si parla tanto di salvare il pianeta, ma intanto si continua a investire in armi che potrebbero distruggerlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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