29 maggio 2020 10:09

La Cina ha accettato un rischio calcolato approvando, a Pechino, la legge sulla sicurezza nazionale relativa al territorio autonomo di Hong Kong. Nel contesto di tensione crescente con gli Stati Uniti, il governo era sicuramente consapevole del fatto che avrebbe scatenato le ire dell’amministrazione Trump, come è puntualmente accaduto.

Tuttavia Pechino sa anche che il mondo occidentale è impotente davanti al dominio cinese su Hong Kong.

Nel 1997 l’ex colonia inglese è tornata nell’orbita cinese con la promessa di un’autonomia garantita per cinquant’anni. Oggi è proprio questa autonomia a essere distrutta da una legge che autorizzerà i servizi di sicurezza cinesi ad agire contro i manifestanti per la democrazia di Hong Kong.

Armi a doppio taglio
In occidente è forte la tentazione di rispondere alle richieste di solidarietà dei giovani che affrontano un potere dittatoriale, ma la Cina è anche la seconda economia mondiale, un membro permanente del consiglio di sicurezza dell’Onu nonché una potenza nucleare.

Gli Stati Uniti hanno annunciato che non riconosceranno più a Hong Kong il suo status speciale, legato a un’autonomia che giudicano ormai scomparsa. La mossa di Washington rischia di compromettere l’importanza finanziaria di Hong Kong, che ancora oggi funge da tramite tra la Cina e il resto del mondo. Ma in questo modo si colpisce Hong Kong molto più di quanto non si penalizzi la Cina, che da anni ha smesso di valorizzare un territorio che considera troppo turbolento e ormai privo della sua iniziale utilità.

Da poco più di un anno l’Europa ha avviato una riflessione sulla possibile revisione dei rapporti con la Cina

Restano il Regno Unito, firmatario del trattato che garantisce l’autonomia di Hong Kong, e l’Europa. Da Londra e Bruxelles sono arrivati alcuni comunicati critici nei confronti della legge cinese, ma nessuna azione concreta. D’altronde gli europei si trovano davanti un interrogativo estremamente difficile: come affrontare una potenza cinese che diventa sempre più straripante?

Da poco più di un anno l’Europa ha avviato una riflessione sulla possibile revisione dei rapporti con la Cina. L’anno scorso un documento della Commissione qualificava Pechino sia come “partner” sia come “rivale”. Gli europei speravano di trovare una posizione condivisa prima di un importante vertice dei ventisette con il numero uno cinese Xi Jinping, in programma a settembre a Lipsia.

Ora però l’escalation della guerra fredda sino-statunitense, l’effetto deleterio del covid-19 sul clima internazionale e l’aumento della tensione su Hong Kong complicano e non poco il piano europeo. I paesi dell’Unione, estremamente divisi, non intendono seguire ciecamente la vendetta interessata di Donald Trump né chiudere gli occhi davanti a una Cina che non fa sconti a nessuno.

La Francia è direttamente coinvolta nella vicenda. Il 29 maggio i mezzi d’informazione statali cinesi hanno ringraziato il consigliere diplomatico dell’Eliseo Emmanuel Bonne per aver assicurato a Pechino che la Francia considera Hong Kong come un affare interno della Cina. Parole mal interpretate, dicono a Parigi dove si ribadisce l’adesione al comunicato di Bruxelles.

Da tutto questo emerge l’imbarazzo degli occidentali, che non possono trattare la Cina come se fosse un qualsiasi paese che viola le norme internazionali, per altro ormai quasi ininfluenti. Questo imbarazzo, purtroppo, lascia mano libera al regime cinese nel suo attacco contro Hong Kong.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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