24 febbraio 2021 09:48

Nella nostra fretta di voltare pagina dopo l’era di Donald Trump ci siamo dimenticati di colui che amava sentirsi descrivere come il “Trump dei tropici”, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Come Trump, anche Bolsonaro governa per istinto, e questo lo porta spesso a causare inavvertitamente una catastrofe. L’ultimo episodio riguarda l’azienda Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale, una sorta di stato nello stato i cui scandali di corruzione avevano provocato la caduta dell’ex presidente Dilma Rousseff.

Bolsonaro ha licenziato l’uomo che aveva rimesso in ordine Petrobras, Roberto Castello Branco, sostituendolo con un generale in pensione senza alcuna esperienza nel settore. Immediatamente il titolo di Petrobras ha perso il 20 per cento del suo valore alla borsa di São Paulo, segno di una drammatica perdita di fiducia. Controllata in parte dallo stato, Petrobras è la più grande azienda non solo del Brasile ma di tutta l’America Latina.

Casse magicamente piene
La direzione di Petrobras aveva deciso di aumentare il prezzo del carburante alla pompa, collegandosi all’aumento del prezzo del barile sul mercato internazionale. La misura aveva scatenato la collera dei camionisti, che minacciavano di bloccare l’economia come già accaduto in passato. Gli autotrasportatori si sono schierati con Bolsonaro, che non aveva nessuna intenzione di inimicarseli.

Il presidente brasiliano pensa già alla rielezione che potrebbe arrivare tra un anno e mezzo

Evitare di pesare sul potere d’acquisto dei brasiliani potrebbe avere un senso in un periodo di difficoltà dovute alla pandemia, ma resta il fatto che il mese scorso lo stesso Bolsonaro ha privato degli aiuti “speciali per il covid” quasi settanta milioni di brasiliani poveri, affermando che le casse sono “vuote”. Un mese dopo, invece, le casse sembrano essersi magicamente riempite per soddisfare una lobby di sostenitori del presidente. Di sicuro Bolsonaro non aveva previsto la reazione a catena dell’ambiente economico.

Il presidente brasiliano agisce anche in considerazione di interessi elettorali e pensa già alla rielezione che potrebbe arrivare tra diciotto mesi. La popolarità dell’uomo forte dell’estrema destra è ai minimi dai tempi della sua elezione, nel 2018, e si attesta al 31 per cento secondo un sondaggio condotto a gennaio. Il 40 per cento dei brasiliani, di contro, ha un’opinione negativa nei confronti di Bolsonaro.

Populismo, esercito e chiese evangeliche
Ma il presidente non si scoraggia e non rinuncia a negare la gravità della pandemia, in un momento in cui il Brasile è secondo al mondo per numero di vittime dopo gli Stati Uniti, con quasi 250mila decessi. Al contempo Bolsonaro smentisce l’esistenza del cambiamento climatico, come dimostra la sua politica estremamente criticata rispetto alla foresta amazzonica.

Il discorso populista, l’elogio dell’ordine militare, il sostegno delle potenti chiese evangeliche e soprattutto l’assenza di un rivale politico permettono a Bolsonaro di sperare in un secondo mandato.

Intanto all’interno dell’opposizione molti temono già che il presidente possa imitare il suo mentore Trump e contestare il risultato se dovesse essergli sfavorevole, tentando di restare al potere con la forza. In uno scenario simile le istituzioni brasiliane potrebbero rivelarsi meno solide di quelle statunitensi.

Il periodo di avvicinamento alle elezioni sarà molto teso, e la vicenda Petrobras è solo un assaggio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Leggi anche:

Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in America Latina. Ci si iscrive qui.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it