15 ottobre 2021 10:08

Il destino non ha pietà per i libanesi. Negli ultimi due anni la popolazione del Libano ha vissuto un costante peggioramento delle condizioni di vita, ha subìto il blocco dei beni da parte delle banche, ha dovuto convivere con le carenze costanti di prodotti essenziali e ha imparato a convivere con una corrente elettrica che il più delle volte manca, senza dimenticare il cataclisma dell’esplosione del porto di Beirut, il 4 agosto 2020. Nel frattempo, una classe politica predatrice continua a restare aggrappata al potere malgrado gli innegabili fallimenti.

La ricostruzione dell’esplosione realizzata da Forensic Architecture


Ora, come se non bastasse, è tornato lo spettro del conflitto armato, trentadue anni dopo la fine della guerra civile che per quindici anni ha trasformato Beirut in un campo di battaglia, quartiere contro quartiere, comunità contro comunità.

Il 14 ottobre gli anziani hanno rivissuto quell’incubo nel pieno centro della capitale, quando alcuni individui armati hanno sparato sui manifestanti di due partiti sciiti, Hezbollah e Amal. I morti sono stati almeno sei, oltre a numerosi feriti. Il centro della città si è improvvisamente svuotato. I negozi hanno chiuso i battenti. L’esercito è arrivato in città. La paura è tornata ad avere il sopravvento.

Queste tensioni sono dovute a un braccio di ferro a proposito di un giudice, Tarek Bitar, titolare dell’inchiesta sulla catastrofe del porto, che ha causato 216 morti e cinquemila feriti. Bitar, 46 anni, non si lascia intimidire nella sua ricerca delle responsabilità nell’esplosione del nitrato d’ammonio conservato nel porto.

Il giudice ha accusato un ex primo ministro e diversi ex ministri, e ha cercato di convocare alcuni responsabili della sicurezza. Ma si scontra con le pressioni per farlo allontanare dall’incarico, come il suo predecessore.

Samir Geagea contro Hassan Nasrallah: la vita politica gira sempre attorno agli stessi personaggi

Qualche giorno fa Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha lanciato un attacco contro Bitar, accusandolo di avere “obiettivi politici”. Il 14 ottobre Nasrallah ha invitato i giovani militanti del partito sciita, vestiti di nero, a protestare contro il giudice.

Ma un avversario di Hezbollah, Samir Geagea, ha lanciato un invito a circondare il quartiere. I suoi uomini sono sospettati di aver aperto il fuoco. Geagea non è uno sconosciuto, ma un sopravvissuto della guerra civile la cui milizia cristiana ha partecipato al massacro di Sabra e Shatila. Ha scontato una condanna di dieci anni per omicidio.

Samir Geagea contro Hassan Nasrallah: è la sindrome libanese, in cui la vita politica gira sempre intorno agli stessi personaggi.

I gravi incidenti del 14 ottobre hanno dimostrato che a Beirut circolano armi pesanti, e non solo nei ranghi di Hezbollah. L’esercito nazionale appare debole e incapace di fermare l’ingranaggio della violenza se dovesse andare avanti.

Gli appelli alla calma si moltiplicano, così come i riferimenti alla guerra civile. Il nuovo primo ministro, Najib Mikati, ha chiesto di “non lasciarsi andare alla sedizione, quale che sia il pretesto”. Ma il suo governo appena formato si è diviso sul destino del giudice Bitar, e in settimana non è nemmeno riuscito a riunirsi.

Questi macabri giochi politici confermano due aspetti: il primo è che c’è ancora molto da scoprire sull’origine dell’esplosione del porto, e questo spiega il nervosismo diffuso; il secondo è che il popolo libanese è in ostaggio di una classe politica pronta a tutto, anche a lasciare che il paese continui a sprofondare all’inferno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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