10 febbraio 2022 09:54

Raramente l’Eliseo ha comunicato tanto assiduamente come negli ultimi giorni, prima, durante e dopo la visita del presidente Emmanuel Macron a Mosca e Kiev. Questa comunicazione ha assunto la forma dello sminamento, perché il terreno diplomatico è pieno di insidie che il presidente (e futuro candidato alla rielezione) non ha alcuna voglia di veder macchiare il proprio bilancio.

Bisogna dire che l’iniziativa di Macron è stata accompagnata da un’ondata di sospetti e critiche, soprattutto nel mondo anglosassone. Un osservatore statunitense ha addirittura paragonato il contesto attuale a quello del “no” francese all’invasione dell’Iraq del 2003. Macron in realtà aveva coordinato la visita con tutti i protagonisti della crisi e in particolare con Joe Biden (a cui ha telefonato anche il 9 febbraio), ma la Francia è sempre sospettata di avere mire nascoste, una reputazione tra l’altro abbastanza meritata.

La situazione non è sorprendente, anche perché nel conflitto russo-ucraino esiste una buona dose di psicologia di uomini e stati, forse più importante della realtà geopolitica e dei trattati diplomatici. Un vertice internazionale è anche uno “scontro tra gli ego”, e quello di Mosca non ha fatto eccezione.

Cosa viene rimproverato esattamente a Macron? Il presupposto è che le parole sono trappole e possono rapidamente trasformarsi in malintesi e controsensi.

Prendiamo la diminuzione della pressione militare, ovvero l’obiettivo numero uno di Macron. Tra francesi e russi gli annunci sono stati spesso contraddittori a proposito delle promesse fatte da Vladimir Putin. Parigi sostiene che il presidente russo si sia impegnato a non lasciare in Bielorussia le truppe e l’equipaggiamento “d’attacco” dislocati per una serie di manovre che cominceranno il 10 febbraio. Tra dieci giorni scopriremo se Putin avrà mantenuto la parola.

Macron è stato costretto a smentire di voler spingere l’Ucraina a una neutralità tra est e ovest

Questo aspetto ha una certa importanza, perché gli occidentali temono una riforma costituzionale prevista alla fine del mese in Bielorussia, che dovrebbe cancellare il divieto di conservare armi nucleari nel paese.

Un’altra parola chiave è “finlandesizzazione”. Ne abbiamo parlato in questa rubrica quando ha usato l’espressione un collaboratore del Cremlino. Oggi è invece usata per criticare Macron. La definizione, per nulla gradita ai finlandesi, è un’eredità della guerra fredda, quando il paese vicino dell’Unione Sovietica era stato costretto a rimanere neutrale tra est e ovest.

A una domanda relativa a questo concetto, Macron ha risposto che la finlandesizzazione dell’Ucraina è effettivamente “una delle opzioni”, pur aggiungendo che non si può lasciare Kiev “in una terra di nessuno senza sovranità né sicurezza”. Naturalmente a fare il giro del mondo è stata solo la prima parte della dichiarazione. Macron ha incassato l’accusa di essere favorevole a una finlandesizzazione dell’Ucraina ed è stato costretto a smentire formalmente questa tesi.

Queste sterili polemiche rivelano due aspetti: il primo è la persistenza di una corrente che vorrebbe solo una guida, quella degli Stati Uniti, e non si fida degli europei; il secondo è la constatazione che non sarà possibile uscire facilmente da questa crisi e che prima di verificare il successo o il fallimento dell’iniziativa di Macron passeranno settimane in cui i nervi saranno messi a dura prova.

Nell’attesa, il 10 febbraio si ritrovano a Berlino francesi, tedeschi, russi e ucraini, nell’ambito del formato Normandia. La diplomazia non ha ancora detto l’ultima parola.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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