13 luglio 2023 09:13

Furioso martedì e felice mercoledì? È possibile valutare il risultato del vertice della Nato a Vilnius dal cambiamento d’umore del presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj? È sicuramente riduttivo, ma comunque può dare un’idea della drammaturgia dei grandi appuntamenti internazionali, dove niente è deciso prima dei titoli di coda.

L’11 luglio, all’arrivo a Vilnius, Zelenskyj aveva pronunciato parole molto dure nei confronti dei leader della Nato, apparentemente intenzionati a sbattergli la porta in faccia. Il presidente ucraino aveva addirittura parlato di “mancanza di rispetto”. Al Cremlino lo spettacolo avrà sicuramente fatto piacere.

Ma alla fine del vertice, nella giornata del 12 luglio, l’Ucraina è apparsa chiaramente rafforzata, anche se non fa ancora parte della Nato. Può sembrare paradossale, ma non è così. Prima di tutto perché era improbabile che Kiev potesse entrare immediatamente nell’Alleanza atlantica. Gli Stati Uniti non intendono accettarlo, perché se così fosse la Nato si ritroverebbe direttamente coinvolta nella guerra in corso. Le speranze dell’Ucraina, da questo punto di vista, erano mal riposte, o forse erano semplicemente frutto di una strategia.

Soddisfazione finale
Nella realtà l’Ucraina ha ottenuto tutto quello che poteva desiderare fatta eccezione per il famigerato articolo 5, quello che garantisce la solidarietà automatica nei confronti di uno stato aggredito.

Questo articolo è il graal della sicurezza collettiva, ma è proprio per preservarne la credibilità che Joe Biden non poteva concederlo a un paese impegnato in un conflitto. A quel punto, infatti, le alternative sarebbero state solo due: un ingresso in guerra degli Stati Uniti o la perdita di valore dell’articolo 5. In questo senso non possiamo dimenticare che la solidarietà automatica rappresenta ancora un baluardo per i paesi del fianco est: la Polonia, gli stati baltici e ormai anche Svezia e Finlandia, i nuovi arrivati.

Vladimir Putin sbaglierebbe a interpretare i fatti di Vilnius come il segno di un indebolimento dell’Ucraina

Ma a Vilnius l’Ucraina ha ricevuto un sostegno che la rassicura per il futuro. Prima di tutto Kiev ha ottenuto la garanzia di poter entrare nella Nato alla fine del conflitto, attraverso un inedito percorso accelerato; e in secondo luogo una promessa di sicurezza da parte delle principali potenze dell’Alleanza, ovvero gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito e la Germania. Non è l’articolo 5, ma ci si avvicina, e soprattutto questa garanzia avrà un peso consistente in un eventuale negoziato di pace. Infine gli alleati dell’Ucraina, ovvero l’Unione europea, la Nato e perfino il G7 con il Giappone, si sono impegnati a fornire tutti gli aiuti militari ed economici di cui il paese avrà bisogno per respingere l’aggressione russa.

Tutto questo giustifica evidentemente la soddisfazione finale di Zelenskyj. Il presidente ucraino temeva che un rifiuto dell’adesione a Vilnius fosse interpretato dal Cremlino come un passo indietro nel sostegno occidentale a Kiev. E invece Vladimir Putin commetterebbe uno sbaglio se interpretasse i fatti di Vilnius come il segno di un indebolimento dell’Ucraina.

Se mai ce ne fosse stato bisogno, l’annuncio francese di una fornitura di missili a medio raggio Scalp, che si aggiungono a quelli simili consegnati dal Regno Unito, conferma l’appoggio militare che continua a rafforzare l’esercito di Kiev.

L’Ucraina deve necessariamente affidarsi alle armi sofisticate e all’addestramento dei suoi soldati nel quadro della Nato per bilanciare il vantaggio numerico dell’esercito russo, che dispone anche di una superiorità aerea e di munizioni apparentemente infinite.

Superato l’appuntamento politico, si torna alla prova del fronte. È lì che si deciderà il rapporto di forze, l’unico che conta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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