19 ottobre 2023 09:52

Il risultato principale della visita di Joe Biden in Israele del 18 ottobre è che i due milioni di palestinesi in stato d’assedio nella Striscia di Gaza potranno accedere agli aiuti umanitari che finora sono rimasti bloccati oltre la frontiera egiziana. Ma il presidente statunitense aveva ben altri obiettivi, che non sono stati raggiunti.

Dire che l’esito del viaggio è stato influenzato dalla tragedia dell’ospedale Al Ahli al arabi di Gaza del 17 ottobre sarebbe riduttivo. L’episodio ha stravolto la natura della visita di Biden, che si è ritrovato invischiato nello scontro sull’origine del missile che ha colpito l’ospedale.

Biden ha sostenuto la tesi israeliana secondo cui a cadere sull’ospedale sarebbe stato un razzo lanciato dalla Jihad islamica che ha funzionato male. È chiaramente un appoggio importante alla versione che Israele cerca di far passare appoggiandosi su una serie di aspetti tecnici.

Ma nel contesto infiammato del Medio Oriente anche i paesi arabi che avevano ristabilito relazioni diplomatiche con Israele (come gli Emirati Arabi Uniti) o che stavano per farlo (come l’Arabia Saudita) fanno ricadere la responsabilità sullo stato ebraico. Dunque la posizione degli Stati Uniti e le argomentazioni di Israele valgono poco. Le piazze arabe hanno già deciso.

Per stabilire se il viaggio di Biden sarà stato un fallimento bisognerà tenere conto di due obiettivi che potrebbero essere raggiunti nei prossimi giorni. Il primo è quello di contenere l’esercito israeliano. Biden non contesta a Israele il diritto di difendersi, ma gli chiede di rispettare il diritto di guerra.

Il secondo obiettivo è quello di evitare un incendio regionale. Il coinvolgimento militare statunitense nella regione – due portaerei nel Mediterraneo orientale, bombardieri in Giordania e soldati pronti a intervenire – è un messaggio all’Iran: l’apertura di un fronte a nord con Hezbollah avrebbe conseguenze gravi. Teheran ha capito il messaggio? Le dichiarazioni che arrivano dall’Iran non sono molto incoraggianti.

Il problema è che Biden voleva procedere in due direzioni: da un lato esprimere la propria solidarietà a Israele e dall’altro trovare un’intesa con i leader arabi. La seconda strada è stata sbarrata dall’attacco contro l’ospedale. Gli Stati Uniti in questo momento appaiono ai paesi arabi come il principale alleato di Israele e dunque corresponsabili di ciò che succede a Gaza.

Non è una novità, ma da anni avevamo percepito un disimpegno americano in Medio Oriente. Questa strategia è fallita e ora Washington si ritrova incastrato nel conflitto, come dimostra il veto posto dagli Stati Uniti il 18 ottobre a una risoluzione presentata dal Brasile al Consiglio di sicurezza dell’Onu per chiedere una “pausa umanitaria”. La Francia per esempio ha votato a favore.

Per Washington la situazione è tanto più problematica se teniamo conto che stanno perdendo la battaglia per conquistare l’opinione pubblica nei paesi del sud del mondo, in cui prevalgono sempre di più Russia e Cina. Negli ultimi due giorni Vladimir Putin e Xi Jinping erano insieme a Pechino per celebrare la loro amicizia e raccogliere i frutti del loro impegno a favore della Palestina. Nessuno dei due ha condannato Hamas ed entrambi si sono limitati a invocare la pace. Una mossa che chiaramente non costa nulla.

L’aspetto più incredibile di questa sequenza è che l’orrore degli attacchi terroristici del 7 ottobre sembra già lontano. La questione palestinese è tornata al centro della scena, mettendo gli occidentali in una situazione estremamente delicata sul campo di battaglia dell’opinione pubblica mondiale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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