Il 25 novembre il sito Le Grand Continent ha descritto così Călin Georgescu, il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti alle presidenziali romene: “Questo specialista dello sviluppo sostenibile, filorusso e accusato di antisemitismo, deve il suo successo sorprendente a una campagna su TikTok”.

In questa frase sono presenti tutte le parole chiave della nostra epoca. Oggi si può essere al contempo ecologisti, filorussi, antisemiti e, fatto meno sorprendente, registrare un grande risultato elettorale grazie a TikTok, il social network cinese basato su brevi video coinvolgenti, in cui Georgescu si mostra a cavallo o mentre pratica judo, come un certo Vladimir Putin.

Georgescu è soprattutto il candidato che nessuno aveva visto arrivare. Ultranazionalista dalle posizioni negazioniste, era a mala pena preso in considerazione dai sondaggi. Eppure è stato capace di staccare il candidato ufficiale dell’estrema destra (arrivato quarto) e di presentarsi in testa al secondo turno, previsto tra due settimane.

Si tratta di un nuovo elettroshock politico in un paese europeo, e non uno qualunque. La Romania fa parte dell’Unione e della Nato, è affacciata sul mar Nero come l’Ucraina e la Russia e ospita sul proprio territorio un sistema antimissile americano e un contingente della Nato, con mille soldati francesi che si trovano nel paese dopo l’invasione russa dell’Ucraina, nel 2022.

Prima di tutto bisogna sottolineare che non si tratta di un exploit isolato. La “sorpresa Georgescu” arriva dopo la vittoria in Slovacchia di Robert Fico, populista vicino a Viktor Orbán (il primo ministro ungherese amico di Putin e Trump), dopo il successo dell’estrema destra e di un nuovo partito di estrema sinistra anti-guerra nell’est della Germania e dopo i risultati importanti ottenuti dall’estrema destra alle ultime elezioni europee.

Georgescu è il tipico candidato “anti sistema” premiato dagli elettori quando perdono la fiducia nella classe politica tradizionale e in una democrazia liberale che non sa più risolvere i problemi.

Certo, ogni paese fa storia a sé. In Romania ci sono socialisti poco raccomandabili (lontani eredi della dittatura di Ceausescu), un’informazione carente, una chiesa ortodossa conservatrice e un vicino ingombrante come la Russia.

La paura della guerra e soprattutto di un allargamento del conflitto in corso in Ucraina costituisce un’occasione ghiotta per chi sa approfittarne. Tra l’altro bisogna dire che tra le minacce nucleari di Putin, gli attacchi contro l’Ucraina dei filorussi e dei trumpiani e l’impatto economico del conflitto c’è solo l’imbarazzo della scelta.

La difesa dell’Ucraina è certamente meno comprensibile rispetto al passato, assimilata sempre di più a una guerra impossibile da vincere e al rischio di un’escalation con una potenza nucleare. Nella guerra delle narrazioni, per ora lo schieramento vicino a Mosca sembra avere la meglio.

In tutto questo stupisce la passività dei democratici “all’antica”, persi nelle loro divergenze politiche mentre i loro elettori li abbandonano inesorabilmente.

Le crisi politiche nei due principali paesi dell’Unione europea, Germania e Francia, sono sconcertanti considerando che tutto, intorno a loro, si indebolisce progressivamente. La Romania è lontana, ma è anche lo specchio deformante di qualcosa che si ripresenta un po’ ovunque in Europa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it