I leader politici appena eletti parlano spesso dei primi “100 giorni”, cioè la fase chiave per realizzare il loro programma prima che si presentino degli ostacoli. Donald Trump, invece, pensa alle sue prime cento ore. Il 47esimo presidente degli Stati Uniti è un uomo che va di fretta.
Se c’è un rituale che Trump apprezza più di ogni altro – e ne ha dato prova durante il suo primo mandato – è sicuramente la cerimonia della firma degli executive order, i decreti presidenziali di cui ha il privilegio. Trump appone una firma enorme sui documenti, prima di mostrarli alle personalità presenti nello studio ovale con un sorriso compiaciuto.
Per il suo secondo mandato Trump ha preparato una raffica di oltre cento ordini esecutivi, un record assoluto. I decreti sono stati redatti in anticipo, segnale di una presidenza molto più ponderata rispetto alla prima, arrivata un po’ a sorpresa. Trump vuole affrontare subito tutti i temi del suo programma politico. Si tratta di un’agenda di rottura, come dimostrano le prime ore di presidenza.
Alcuni argomenti toccati dagli ordini esecutivi sono legati ai punti chiave della sua campagna elettorale. Il presidente decreterà lo stato d’urgenza nazionale alla frontiera con il Messico e manderà l’esercito per finire di costruire il famoso muro di separazione annunciato durante il primo mandato. Sempre sul tema dell’immigrazione, Trump darà il via a una caccia allo straniero irregolare nel paese, ordinando espulsioni in massa.
Come in occasione del primo mandato alla Casa Bianca, il presidente rinnegherà nuovamente l’accordo di Parigi sul clima. Biden aveva annullato l’uscita dall’accordo dopo la sua vittoria elettorale del 2020, dunque si tornerà al punto di partenza. Il corollario di questa diserzione dalla lotta contro il cambiamento climatico sarà il via libera per l’aumento della produzione petrolifera in Alaska e per il fracking, la tecnica della fratturazione idraulica. “Drill baby drill”, ama ripetere Trump. Scava, baby, scava.
Donald Trump ha due motivazioni che lo spingono verso questa frenesia di decreti. La prima, già presente otto anni fa, è la volontà di disfare tutto ciò che il suo predecessore democratico ha fatto. In quest’ottica i simboli sono importanti. Il nuovo presidente cambierà il nome alla più alta cima del Nord America, situata in Alaska, “restituendola” al presidente William McKinley, repubblicano assassinato nel 1901. Barack Obama aveva modificato il nome della montagna scegliendone uno proveniente da una lingua autoctona, Denali.
Il secondo motivo è che Trump vuole agire come un rullo compressore contro quello che chiama “lo stato profondo”, cioè gli uomini e le strutture che a suo parere lo hanno ostacolato durante il suo primo mandato. Per farlo si affiderà al “project 25”, un piano concepito da un gruppo ultraconservatore che ha lavorato al programma del presidente ma anche al personale da piazzare nei posti chiavi per mettere in pratica le sue idee.
Questa furia di decreti nelle prime ore è dunque destinata a impressionare l’opinione pubblica e a spaventare l’apparato statale, già minacciato dai tagli promessi da Elon Musk. Donald Trump ha già avviato la rivoluzione conservatrice di cui è il nuovo imperatore, appena incoronato e già seminatore di un caos che vorrebbe essere “creativo”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it