“È un tipo fantastico”, dice di lui Donald Trump. Il leader straniero prediletto del presidente statunitense, nonché il primo a cui ha telefonato dopo la cerimonia d’investitura e a cui farà visita appena possibile, ha tutte le qualità che Trump apprezza di più: è ricco, ambizioso e capace di lanciarsi in progetti stravaganti. Parliamo di Mohammed bin Salman (Mbs), principe ereditario dell’Arabia Saudita.
In occasione della loro conversazione telefonica, il leader del regno wahhabita ha promesso di investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti durante i quattro anni del mandato di Trump. Il 23 gennaio, in un intervento in videoconferenza trasmesso al forum di Davos, senza ironie il presidente ha rilanciato: “Gli chiederò di arrivare a mille miliardi”.
Il rapporto tra Mbs, 39 anni, e Donald Trump risale all’epoca del primo mandato di quest’ultimo, quando i rapporti con Riyadh erano gestiti dal genero di Trump Jared Kushner, sia nella diplomazia sia negli affari. L’Arabia avrà un ruolo ancora più centrale durante il secondo mandato di Trump, perché il regno diventerà sempre più importante in un Medio Oriente che vive una fase di ricomposizione.
Esistono tre dimensioni in questo rapporto. La prima, come abbiamo potuto verificare, riguarda il desiderio degli Stati Uniti di attirare le enormi ricchezze dell’Arabia Saudita, primo produttore di petrolio al mondo.
La seconda dimensione è quella della prospettiva di un ingresso dei sauditi negli accordi di Abramo, conclusi da Trump durante il suo primo mandato con il ripristino dei rapporti diplomatici tra alcuni paesi arabi e Israele. Il regno stava negoziando con lo stato ebraico quando si è verificato l’attacco del 7 ottobre, con la conseguente guerra scatenata da Israele a Gaza. Inevitabilmente il riavvicinamento è stato congelato.
Oggi il principe ereditario è costretto a subordinare la firma di un accordo a un impegno di Israele a favore dei palestinesi, perché l’opinione pubblica saudita lo pretende. Trump cercherà di conciliare gli imperativi dei suoi due partner regionali per consolidare un asse di sicurezza israelo-saudita in Medio Oriente. È il grande progetto del nuovo presidente statunitense, convinto di poterne trarre grandi vantaggi per il suo paese.
La terza dimensione è quella del prezzo del petrolio. Il 23 gennaio Trump ha dichiarato al forum di Davos che chiederà ai sauditi di far calare il prezzo del barile per contrastare l’inflazione e permettere una riduzione dei tassi d’interesse.
Non sarà facile. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, a febbraio del 2022, Joe Biden ha chiesto al principe di tagliare il prezzo del petrolio per penalizzare le esportazioni russe che finanziavano la guerra di Putin. Bin Salman aveva rifiutato, imponendo uno smacco a Biden. L’Arabia Saudita è legata alla Russia da accordi tra paesi produttori di petrolio e non aveva intenzione di infrangerli.
Come risponderà il principe a una richiesta che arriva direttamente dal suo amico Trump? Si tratta evidentemente del primo test per lo stile aggressivo adottato dal presidente statunitense.
La trattativa sarà su vasta scala, tra il possibile ruolo saudita nel dopoguerra a Gaza, la creazione di rapporti con Israele, le garanzie di sicurezza che Riyadh vorrebbe ricevere dagli Stati Uniti e, sullo sfondo, la grande questione non risolta: l’Iran. È una dinamica complessa, ma in fin dei conti, per Trump, si tratta di concludere un affare da mille miliardi di dollari.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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