16 febbraio 2013 09:50

Eldad era ancora bambino quando sono stati costretti ad andare via. E da bambino realizzò che non sempre le sue scelte sarebbero state frutto di una sua libera decisione.

Era il primo nipote, nato e cresciuto nell’unica pensione kosher di Roma prima della seconda guerra mondiale. L’unico bambino tra tanti uomini d’affari, diplomatici o semplici rifugiati, ospiti della pensione di suo nonno, Isacco Pines.

Al mattino Eldad correva tra le stanze vuote prima che venissero ripulite e la sera gattonava tra i tavoli, raccogliendo caramelle, carezze, sguardi e sorrisi. C’era un andirivieni di persone che lasciavano sempre una dedica scritta a mano nel libro degli ospiti e a volte qualche disegno. Ci ha messo tre anni per imparare che a volte è meglio non legarsi alle persone, agli oggetti, alle casa, alle città.

Eldad era il primo di tre figli nati da un amore improvviso, anche se a lungo atteso. Il padre era un uomo d’affari proveniente dalla Libia che durante un suo soggiorno a Roma si innamorò della figlia del signor Pines, il proprietario della pensione in cui soggiornava. Immigrato lui e immigrata lei, che conosceva (anche se non perfettamente) più di una lingua. Non tante però come suo padre Isacco, che con un solo sguardo riusciva a indovinare la nazionalità di ognuno dei suoi ospiti, senza sbagliare quasi mai.

La pensione dei Pines non aveva niente a che fare con grandi progetti sionisti dell’epoca, a parte ospitare qualche ebreo che cercava di lasciare l’Europa. Tuttavia questa pensione, questa felice isola ebraica al centro della città, che occupava un piano intero di fronte al parlamento, diventò con gli anni una vera e propria istituzione.

Poi arrivò la guerra, cancellando speranze, ricordi e sorrisi espressi in lingue diverse, testimonianze di un piccolo grande mondo ebraico di dimensioni mondiali che pochi conoscevano e tanto meno credevano potesse esistere.

A distanza di settant’anni e duemila chilometri, un giorno è stato ritrovato quel registro, buttato per strada nel centro di Tel Aviv. Il museo della shoah, lo Yad Vashem, ha ricostruito le dediche, il periodo e la città di provenienza degli ospiti, organizzando tutto in

una mostra che fa parte di un progetto di raccolta di oggetti personali per riuscire a mantenere in vita storie e ricordi che erano andati persi.

Il bambino è cresciuto. Ancora oggi racconta ai suoi nipoti che suo nonno Isacco, quando non doveva ricevere gli ospiti, leggeva loro le dediche nel libro degli ospiti, era scrupoloso nella verifica dell’ordine delle stanze e amava guardare la piazza del parlamento dalla finestra della sua pensione. Una piazza che cambiava leggermente aspetto in base alla finestra dalla quale si affacciava.

Oggi, intervistando chi abita nella piazza o nei palazzi circostanti, nessuno si ricorda della vecchia pensione. Il palazzo che una volta accoglieva ebrei viaggiatori provenienti da tutto il mondo ora ospita degli uffici e qualche abitazione.

Isacco Pines non è più in vita. E da quell’affaccio spuntano anonimi funzionari statali di cui non resterà memoria.

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