18 aprile 2016 11:00

A un anno esatto dal naufragio del 18 aprile 2015, costato la vita a circa 800 migranti, uno studio approfondito ricostruisce i fatti e getta una luce sinistra sulle istituzioni europee – in particolare su Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne.

Secondo quanto esaminato da un gruppo di ricercatori delle università di Londra e York attraverso i racconti di superstiti e funzionari, l’analisi di documenti, dati statistici ed evidenze oceanografiche, quel naufragio non è stato una fatalità. Come quello della settimana precedente che era costato la vita a circa 400 migranti, quello del 18 aprile 2015 è stato causato dal modo in cui sono state portate avanti le operazioni di soccorso, affidate a navi cargo inadatte al compito. E quindi, accusano gli autori del rapporto, è stato conseguenza di scelte politiche precise.

Navi senza personale adeguato

Il 31 dicembre 2014 l’Italia aveva deciso di interrompere l’operazione Mare nostrum, che aveva impegnato in alto mare per quindici mesi i mezzi della sua marina militare, con un bilancio di più di centomila persone salvate. L’operazione era stata sostituita dalla missione Triton, coordinata da Frontex con obiettivi e mandato più limitati – i mezzi coinvolti non dovevano spingersi oltre le 30 miglia dalle coste europee.

Dalle trascrizioni delle discussioni interne a Frontex, citate nel rapporto, emerge che i funzionari dell’agenzia erano consapevoli che questo avrebbe causato un numero maggiore di vittime. “Il ritiro dei mezzi navali dall’area, se non propriamente pianificato e annunciato, produrrà probabilmente un aumento delle morti”.

Ritirati i mezzi militari, i soccorsi del 12 e del 18 aprile sono stati condotti da navi commerciali, prive di personale addestrato. E si sono pertanto conclusi in tragedia. “A causa del ritiro delle operazioni condotte agli stati, l’onere del salvataggio è stato trasferito sulle navi cargo, che non sono adatte a questo compito. In questo modo, le agenzie e i politici europei hanno deliberatamente creato le condizioni che hanno portato a una perdita enorme di vite umane”, scrivono gli autori del rapporto Charles Heller e Lorenzo Pezzani.

Senza operazioni di soccorso di grande ampiezza le morti nel Mediterraneo aumenteranno nei prossimi mesi

Frontex e gli stati membri dell’Unione europea lo sapevano e hanno deciso che quello fosse il prezzo da pagare per ridurre il numero delle partenze. L’idea di fondo era che l’operazione Mare nostrum fosse un cosiddetto pull factor, un fattore che incoraggiava le partenze. E che per questo doveva essere interrotta. Chiusa l’operazione, nella loro idea gli arrivi sarebbero diminuiti. Ma in realtà sono solo aumentati i morti: nei primi quattro mesi del 2015 ci sono state 1.600 vittime in mare, a fronte di 17 nei primi quattro mesi del 2014, quando era attiva la missione di salvataggio italiana.

Adesso che assistiamo a un incremento degli arrivi attraverso il canale di Sicilia, che probabilmente aumenteranno ancora a causa della chiusura della rotta balcanica dopo l’accordo con la Turchia, questo rapporto costituisce un monito severo alle istituzioni europee. Se non si mettono in piedi operazioni di soccorso di grande ampiezza, com’era quella attuata dal governo italiano tra la fine del 2013 e il 2014, o se non si generalizzano mezzi di accesso legale come quello lanciato pionieristicamente dalla comunità di Sant’Egidio e dalla Federazione delle chiese evangeliche, è praticamente certo che nei prossimi mesi ci troveremo a contare altre centinaia di morti nel mare Mediterraneo.

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