26 maggio 2022 12:01

Un anno fa, nel maggio 2021, un tribunale olandese ha ordinato all’azienda di combustibili fossili Shell di ridurre le sue emissioni del 45 per cento entro il 2030. Anche se, com’era prevedibile, la Shell ha fatto appello, la sentenza è storica. È la prima volta, infatti, che una multinazionale è ritenuta legalmente responsabile di contribuire alla crisi climatica. Ed è anche la prima volta che un tribunale chiede a un’azienda inquinante un cambio di politica, invece che un risarcimento in denaro. Nella causa (Milieudefensie et al. contro Royal Dutch Shell), l’accusa ha sostenuto che l’azienda, con il suo ruolo nella crisi climatica, non ha violato solo la legge dei Paesi Bassi ma anche i diritti umani. Un approccio sempre più usato nelle cause climatiche.

In Australia, sempre nel 2021, la corte federale ha imposto alla ministra dell’ambiente, Susan Ley, di proteggere le giovani generazioni dai cambiamenti climatici con una sentenza che, come quella contro la Shell, costituisce un precedente: otto adolescenti e una suora avevano depositato un’ingiunzione per impedire al ministero di approvare la proposta di espandere una miniera di carbone nella zona nord del New South Wales.

In ottobre anche l’organizzazione non governativa All rise ha presentato una richiesta all’ufficio del procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) per aprire un’indagine sul presidente brasiliano Jair Bolsonaro per crimini contro l’umanità commessi per la massiccia deforestazione in Amazzonia.

La giustizia al centro
Le cause legali per il clima rappresentano una nuova strategia attivista che porta il tema della giustizia al centro della crisi climatica. Un recente rapporto del Grantham research institute (Gri) della London school of economics (Lse) ha concluso che le “cause strategiche”, cioè quelle che hanno l’obiettivo finale di portare a una “trasformazione della società”, sono in aumento.

“Le persone si sono rivolte ai tribunali perché i governi e i grandi emettitori sono stati semplicemente troppo lenti nel ridurre le loro emissioni di carbonio”, spiega Joana Setzer, esperta di contenziosi sul clima e ricercatrice presso la Lse.

Non sono solo organizzazioni in tutto il mondo a intraprendere cause climatiche contro grandi aziende emettitrici e alcuni governi, ma anche esponenti della società civile, gruppi, movimenti e giovani. La crisi climatica e le sue conseguenze sono così riformulate come temi di giustizia, invece che come temi di potere politico o economico, ha spiegato Carroll Muffett, presidente e amministratore delegato del Center for international environmental law negli Stati Uniti. E questo tipo di approccio sta diventando sempre più popolare.

Secondo un rapporto che esamina il numero crescente delle cause legali per il clima, pubblicato nel gennaio del 2022 dal Climate social science network (Cssn ) dell’Institute for environment and society della Brown university negli Stati Uniti, dal 2015 il numero di cause legali legate al cambiamento climatico al livello globale è più che raddoppiato. Tra il 1986, l’anno a cui risale la prima causa per il clima, e il 2014, ne sono state intentate circa 800; solo negli ultimi sei anni ne sono arrivate in tribunale più di mille.

L’ingannevole pubblicità “verde” può essere alla base di rivendicazioni legali per frode, false dichiarazioni e tutela dei consumatori

Queste azioni legali hanno implicazioni potenzialmente significative nella lotta per il clima e si stanno diffondendo anche in Italia. Nel 2019, più di 200 ricorrenti tra singoli e associazioni hanno lanciato la campagna Giudizio universale che ha depositato nel giugno 2021 la prima causa climatica contro lo stato italiano.

“Questa iniziativa legale si pone all’interno del solco tracciato da altri casi in Europa e negli Stati Uniti, paese precursore per la climate litigation”, spiega Marica Di Pierri, portavoce di A sud, l’associazione che ha intentato la causa. “È uno strumento formidabile per fare pressione sullo stato e chiedere di rafforzare i suoi impegni nella lotta per il clima”.

Nell’aprile 2021 l’organizzazione non profit ClientEarth ha lanciato la campagna The greenwashing files. Secondo l’organizzazione, l’ingannevole pubblicità “verde” – parte della strategia di greenwashing messa in campo dalle aziende per sembrare più attente all’ambiente di quanto lo siano davvero – può essere alla base di rivendicazioni legali per frode, false dichiarazioni e tutela dei consumatori. Il rapporto sottolinea che non sono solo le aziende a essere coinvolte nel greenwashing. I governi, i politici e altre figure istituzionali possono ricorrere al greenwashing per mascherare le loro azioni “con l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica a proprio favore”.

I ricercatori del Cssn spiegano che le prime azioni legali contro il greenwashing riguardavano aziende che commercializzavano prodotti inquinanti presentandoli come sostenibili. Anche oggi, molte cause legali sono intentate sulla base del fatto che le campagne di marketing di un’azienda, per esempio, sono fuorvianti e ingannano i consumatori, oppure ne gonfiano e sovrastimano l’impegno reale per il clima e l’ambiente. Secondo i ricercatori del Cssn, quest’azione può andare oltre il greenwashing. Il rapporto, infatti, definisce il divario tra quello che un’azienda promuove e i suoi impegni climatici reali come climate washing.

Per decenni le aziende di combustibili fossili si sono impegnate in campagne di disinformazione al fine di ritardare la transizione energetica

Gli studiosi hanno evidenziato che molte aziende produttrici di combustibili fossili e i principali inquinatori adottano strategie di comunicazione per creare la percezione che le loro attività siano parte della soluzione al cambiamento climatico, piuttosto che esserne la causa principale. E, in questo contesto, il concetto di climate washing è una prospettiva utile per esaminare e far rispettare gli impegni sul clima, compresi i recenti impegni per le emissioni a zero netto di cui si sente molto parlare.

I settori coinvolti e la disinformazione fossile
Secondo l’analisi del Gri, dei 193 casi identificati nel 2021, 38 sono stati intentati contro realtà del settore privato, spesso in collaborazione con realtà governative. Questo numero rappresenta un aumento rispetto al 2020, quando sono stati presentati 22 casi contro aziende. Tutte le cause tranne una sono state presentate negli Stati Uniti, in Australia e in Europa.

Non sorprende che le aziende produttrici di combustibili fossili siano quelle coinvolte più frequentemente. Secondo il rapporto del Gri i ricorrenti hanno contestato alle aziende affermazioni ingannevoli sulla produzione di energia pulita, occultamento dei piani di investimento in progetti ad alta intensità di anidride carbonica, mancata adesione alle normative ambientali e climatiche e mancata riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Tra le contestazioni c’è anche l’accusa alle aziende di aver nascosto intenzionalmente informazioni e dati sul proprio contributo di emissioni e il proprio ruolo nella crisi climatica.

Per decenni, infatti, le aziende di combustibili fossili si sono impegnate in campagne di disinformazione al fine di ritardare la transizione energetica. Una recente indagine della commissione per i diritti umani nelle Filippine sostiene che queste azioni ora possono essere usate per ritenere le aziende responsabili dei danni al clima e, secondo gli esperti legali, potrebbero contribuire alla tendenza della climate litigation a livello globale. Aziende petrolifere, carbonifere, minerarie e cementifere sono coinvolte in un “offuscamento intenzionale” della scienza climatica per seminare dubbi e disinformazione sul cambiamento climatico e impedire la transizione verso l’energia pulita.

Una tattica che mostra le prime crepe. Il 24 maggio 2022 la corte suprema del Massachusetts ha respinto all’unanimità la richiesta di ExxonMobil di archiviare la causa – intentata dal procuratore generale dello stato – in cui è accusata di aver ingannato i consumatori e gli investitori sui cambiamenti climatici e sui pericoli legati all’uso dei combustibili fossili.

Dopo le aziende fossili, secondo il rapporto del Gri, la maggior parte dei casi è stata intentata contro aziende del settore agroalimentare e della plastica. Altri settori coinvolti, prosegue l’analisi, sono quello dei trasporti e della finanza. In Australia, per esempio, è stato presentato un reclamo contro l’istituto finanziario Hsbc all’autorità per gli standard pubblicitari: si contestavano le sue dichiarazioni ingannevoli sulla protezione della grande barriera corallina. Le cause che coinvolgono il settore della finanza riflettono quindi la crescente centralità del suo ruolo nella transizione energetica.

Su più fronti, le cause climatiche si stanno rivelando uno strumento fondamentale per portare avanti la lotta per il clima, e andrebbero sostenute e incoraggiate non solo dalla società civile e dalle organizzazioni ma anche dalla politica e dalle imprese.

Il Gri prevede che, pur con tutte le incertezze, altri settori ad alto tasso di emissioni potrebbero essere il prossimo bersaglio delle cause climatiche.

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