18 marzo 2016 13:50

La madre di D. è morta. D. era con me – durante la settimana frequenta il mio centro per bambini in difficoltà – e stava facendo i compiti quando sua sorella ci ha chiamati per darci la notizia. La donna aveva messo al mondo dodici figli e aveva avuto una vita difficile. L’ultima volta che sono andato a trovarla le ho portato da mangiare e alcuni vestiti. Era molto magra e non è riuscita a mangiare. Era sempre molto felice quando le portavo da mangiare. Ed era stata contenta anche per i vestiti.

Viveva in una baracca, rubava la corrente elettrica e non aveva un bagno. Aveva parecchia sete: non beveva da un giorno. Così le ho comprato dell’acqua. Il marito lavorava in un autolavaggio. Era alcolizzato e ogni tanto si dava anche alla droga. Lei aveva solo un paio di scarpe da uomo, brutte, grandi e sformate. Quel giorno le ho portato anche delle scarpe. È stata sepolta con quelle scarpe e con i vestiti che le avevo portato.

Due dei suoi figli sono tossicodipendenti e quattro sono stati affidati allo stato. La figlia che si è occupata del funerale vive in condizioni altrettanto difficili. Lavora molto, ma i soldi che guadagna non sono sufficienti per i suoi tre figli.

D. non ha sofferto troppo. Negli ultimi due o tre anni ha passato più tempo con me che con la madre.

Sono troppi gli ostacoli che i ragazzi del mio centro hanno davanti, e l’ostilità verso i rom è uno di questi

Diverse ricerche dimostrano che esseri umani con vite completamente diverse possono raggiungere un livello di felicità abbastanza simile. Una persona che ha perso un braccio e una che ha vinto la lotteria dopo un certo periodo di tempo tornano ad avere un livello di felicità analogo. Gli psicologi chiamano questo meccanismo “adattamento edonico”.

Dal punto di vista emotivo mi sono quasi abituato al fatto che intorno a me la gente muoia. Gente più giovane di me che sembra più vecchia. Le prime volte è stato molto difficile, ma adesso in un qualche modo è diverso. Non sono sicuro che mi convenga, ma probabilmente il principio dell’adattamento edonico funziona anche con me.

Quasi tre anni fa, parlando con Gina, Sile e Ion, gli avevo detto che c’erano probabilità molto alte che morissero o finissero in carcere per il consumo o lo spaccio di droga. Sile mi aveva confessato pacatamente che in carcere in fondo starebbe bene, almeno non avrebbe dovuto dormire sulle scale o cercare da mangiare nella spazzatura. Nel frattempo Ion è morto in carcere, malato di aids. Gina, invece, è stata uccisa da un’overdose.

Ho visitato diverse carceri. Un fratello di mia madre, Gogu, e una sorella, Geta, sono stati in prigione. Un altro zio ha lavorato tutta la vita in carcere: faceva il guardiano. Molti tra i bambini con cui lavoro probabilmente in futuro finiranno in galera. Se succederà, le loro possibilità di costruirsi una vita diversa saranno praticamente nulle.

Sono troppi gli ostacoli che i ragazzi hanno davanti, e l’ostilità verso i rom è uno di questi. Non è così rilevante come la povertà, spesso estrema, o la mancanza di politiche pubbliche pensate per aiutare i più deboli, ma rimane un ostacolo importante.

Il 95 per cento delle persone detenute in Romania ha in comune un cromosoma

Ultimamente ricevo più attacchi del solito in quanto rom. In qualche modo dovrei aspettarmeli, vista la posizione pubblica che ricopro da qualche tempo. Persone inferocite mi scrivono indignate che il “problema” sono gli “zingari” e non i “romeni”. Sono persone impossibili da convincere del contrario con argomenti logici. Persone che cercano di convincermi della dissolutezza del mio popolo con dati statistici confusi e orecchiati da qualche parte.

In effetti, il 95 per cento delle persone recluse nelle carceri della Romania ha un tratto comune, che può essere usato come prova schiacciante del loro nesso genetico con la delinquenza. In Bulgaria, Ungheria e Slovacchia la percentuale è più o meno la stessa. Il 95 per cento delle persone detenute in Romania ha in comune un cromosoma. Si tratta del cromosoma Y. Sono uomini.

Nelle carceri romene ci sono 28.002 persone. Di queste 26.602 sono uomini. Ovviamente non credo che gli uomini abbiano una tendenza genetica a delinquere. Quello che sto cercando di dimostrare è che è molto facile manipolare i numeri. Purtroppo succede spesso che persone prive delle più elementari nozioni di statistica si avventurino a usare i numeri per giustificare i propri pregiudizi.

Il razzismo non mi fa sentire meno romeno. Anzi, succede il contrario. Anche se l’ostilità verso i rom è fortemente radicata nella mentalità collettiva, penso che le persone che mi sono più care per quello che fanno sono romene, nella stragrande maggioranza non rom. Persone che vengono ad aiutarci nel centro il fine settimana e passano buona parte del loro tempo libero a lavorare con bambini molto poveri. E in gran parte rom.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano romeno Dilema Veche.

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