01 dicembre 2011 00:00

Quasi quattro anni fa un ragazzo aveva rivolto alcune domande scomode a Ricardo Alarcón, presidente dell’assemblea nazionale del potere popolare. Eliécer Ávila aveva chiesto la parola durante una riunione alla facoltà di scienze informatiche e il suo intervento era stato registrato in un video subito diffuso in rete. Fino al giorno in cui ha espresso il suo dissenso davanti al funzionario pubblico, Eliécer era considerato un sostenitore del regime.

Ventenne di umili origini e militante dell’Unione dei giovani comunisti, era un attivista della Federazione degli studenti universitari e dirigeva anche la cosiddetta Operazione verità, una campagna per contrastare le critiche al governo cubano su internet. Con le sue osservazioni lo studente ha messo in difficoltà un uomo che è stato anche ambasciatore di Cuba alle Nazioni Unite. Eliécer aveva chiesto perché i cubani non possono viaggiare liberamente. Il politico navigato aveva risposto che se “tutti gli abitanti della terra andassero dove vogliono, il caos aereo sarebbe ingestibile”.

Lo scontro verbale l’ha vinto Eliécer, ma la reazione delle istituzioni non ha tardato ad arrivare. L’hanno isolato, gli hanno permesso di laurearsi, ma poi l’hanno rispedito a casa sua, a Las Tunas, a fare un lavoro insignificante. Ha dovuto vendere gelati per strada per sopravvivere. Adesso è disoccupato, un indignato senza posto di lavoro e senza copertura previdenziale. Le schermaglie verbali con il potere si pagano care.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 926, 2 dicembre 2011*

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