08 aprile 2021 15:32

In tutti gli Stati Uniti i contagi hanno ricominciato a salire. In alcune città stanno crescendo anche i ricoveri ospedalieri. Le evoluzioni di una pandemia possono essere difficili da prevedere, ma quest’ultimo aumento era quasi inevitabile. Una variante più trasmissibile e letale, chiamata B.1.1.7, si è imposta proprio quando molti stati stanno rapidamente riaprendo, revocando l’obbligo d’indossare le mascherine, togliendo le limitazioni agli incontri al chiuso, e al numero massimo consentito di persone in palestre e ristoranti.

A quanto pare sta cominciando la quarta ondata.

La buona notizia è che questa è diversa. Adesso abbiamo una scorta senza precedenti di vaccini straordinariamente efficaci, che sono somministrati a un ritmo incredibile. Se agiremo velocemente, questa ondata potrebbe essere un piccolo contrattempo. Ma se reagiremo troppo lentamente, ancora più persone saranno infettate da questa terribile nuova variante, nettamente più pericolosa per quanti non sono ancora vaccinati.

Gli Stati Uniti hanno un vantaggio su paesi come il Canada, la Francia, la Germania e l’Italia, anch’essi alle prese con aumenti dei contagi dovuti a questa variante. I vaccini della Moderna, della Pfizer e della Johnson & Johnson funzionano molto bene contro questa variante, e gli Stati Uniti li hanno usati per vaccinare oltre tre milioni di persone al giorno. Questo numero equivale a più del 4 per cento della popolazione statunitense che ha diritto a essere vaccinata ogni tre giorni. Addirittura il 73 per cento delle persone con più di 65 anni e il 36 per cento di tutti gli adulti vaccinabili nel paese hanno ricevuto almeno una dose. Più di cinquanta milioni di persone sono oggi considerate pienamente vaccinate, avendo ricevuto il richiamo oppure la dose unica della Johnson & Johnson. Molti stati hanno già aperto le vaccinazioni a chiunque abbia più di 16 anni, e chiunque possieda i requisiti dovrebbe avere la possibilità di ricevere almeno la prima dose non oltre maggio.

Il livello dell’immunità
In più, gli Stati Uniti sono uno dei paesi con più contagi al mondo. Questo ci ha provocato sofferenze e perdite immense, ma significa anche che adesso siamo meno vulnerabili a future ondate. Finora il numero confermato di cittadini statunitensi infettati dal sars-cov-2 è di trenta milioni , anche se il numero reale (non calcolato) arriva forse a cento milioni. Come previsto, queste persone mantengono un certo livello d’immunità per un periodo sostanziale di tempo.

È difficile sapere esattamente quanto a lungo, perché il virus è davvero nuovo, ma per la sars (l’analogo coronavirus che quasi scatenò una pandemia nel 2003), le persone infettate svilupparono una risposta d’anticorpi, e quindi una protezione, che durò in media due anni. Per quanto sorprendente, poiché i vaccini sembrano offrire una migliore immunità dell’infezione naturale, le persone infettate in precedenza avranno ancora più anticorpi una volta vaccinate.

È abbastanza evidente che molte persone negli Stati Uniti sono già, o saranno presto, protette dagli effetti più gravi del covid-19

Studi accurati su ampi numeri di persone mostrano un tasso molto basso di reinfezione per questo coronavirus: meno dell’1 per cento. Inoltre tante reinfezioni documentate tendono a essere leggere o asintomatiche, un esito non sorprendente poiché in questi casi il virus non è più totalmente ignoto al sistema immunitario, e quindi non ha conseguenze altrettanto catastrofiche.

È abbastanza evidente che molte persone negli Stati Uniti sono già, o saranno presto, protette dagli effetti più gravi del covid-19, come la morte o il ricovero, ridotti così vicino allo zero dai vaccini che gli studi clinici non hanno riportato quasi alcun caso del genere.

Ma non finisce qui: i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno diffuso dei dati in tempo reale secondo cui, appena due settimane dopo aver ricevuto anche solo una dose, i due vaccini a mRna (Rna messaggero) erano efficaci all’80 per cento nel prevenire l’infezione. L’efficacia sale al 90 per cento dopo la dose di richiamo. Le persone oggetto dello studio sono state regolarmente sottoposte a test, indipendentemente dal fatto che avessero sintomi o meno, e quindi sappiamo che i vaccini non solo hanno evitato la malattia sintomatica – il tasso di efficacia del farmaco emerso dalle sperimentazioni – ma la stessa infezione. Le persone che non sono infettate da un virus non possono trasmetterlo in alcun modo. Anche le persone che si sono infettate nonostante il vaccino hanno mostrato una carica virale minore rispetto a quelle non vaccinate, e sono quindi probabilmente molto meno contagiose.

Tutto questo non significa che non ci saranno morti o malattie tra i vaccinati. Nelle persone più anziane, che tendono ad avere sistemi immunitari più deboli, si presentano spesso problemi di scarsa efficacia dei vaccini. Nelle case di riposo anche un normale raffreddore può generare focolai mortali. Ma per i vaccinati il rischio di contrarre il covid-19 è chiaramente diventato paragonabile al cosiddetto baseline risk (il rischio di base): non lo zero assoluto, ma un rischio simile a quello dell’influenza e di altri virus, quindi niente che possa spingere la maggior parte di noi a tenere in sospeso la propria vita.

In una teorica stessa barca
Come conciliare tutte queste buone notizie con quanto accaduto durante una conferenza stampa della Casa Bianca, quando la direttrice dei Cdc, Rochelle Walensky, ha seminato l’inquietudine parlando del suo timore di “perdere il controllo”, e di un “sentimento ricorrente di catastrofe imminente”? Era visibilmente emozionata e la sua voce tremava quando ha detto di essere “spaventata”, e ha pregato gli statunitensi di “resistere ancora un altro po’”.

Non posso leggerle nel pensiero, ma se fossi Walensky, sarei terrorizzata, perché chi non è protetto da vaccinazioni o da vecchie infezioni corre ancora un grave rischio, un fatto che potrebbe finire in secondo piano rispetto alle buone notizie. Anche se i nostri vaccini continuano a essere molto efficaci contro di essa, la particolare variante con cui facciamo i conti in questa ondata è sia più trasmissibile sia più letale per i non vaccinati.

L’immunità di gregge non è un interruttore che garantisce una protezione individuale

Durante questa pandemia, gli statunitensi hanno preso l’abitudine di chiedersi a vicenda di collaborare e di attuare misure di contenimento per il bene di tutti. Uno degli slogan in favore dell’uso della mascherina era “la mia mascherina ti protegge e la tua protegge me”. Anche se siamo sempre stati un popolo polarizzato, e gli effetti sono sempre stati disuguali – le nostre misure di contenimento hanno aiutato chi poteva lavorare da casa più dei lavoratori essenziali che hanno reso il tutto possibile – almeno in teoria eravamo tutti nella stessa barca, anche se alcuni si sono comportati come se non fosse così.

Questi appelli al bene comune sono emersi pure in tante discussioni sul raggiungimento dell’immunità di gregge, presentata come un obiettivo che ci proteggerà tutti. In qualche misura è così, per il futuro, ma c’è sempre stato un eccesso di semplificazione. Oggi, con tassi disuguali ma crescenti di vaccinati, capire come funzionano queste disparità è ancora più importante, a cominciare proprio dall’immunità di gregge.

Quest’ultima viene spesso trattata come una soglia: una volta varcata saremo tutti al sicuro, mentre prima di superarla siamo tutti a rischio. In realtà l’immunità di gregge non è un interruttore che garantisce una protezione individuale, bensì una dinamica collettiva che rende difficile alle epidemie di autoalimentarsi all’interno di una popolazione e a lungo termine. Anche se il 75 per cento del paese avesse un qualche livello d’immunità a causa della vaccinazione o delle infezioni passate, il rimanente 25 per cento al livello individuale rimarrebbe altrettanto suscettibile d’infettarsi. E anche se i livelli dell’immunità di gregge alla fine faranno scendere in modo significativo il numero dei contagi, ciò potrebbe comunque non impedire all’epidemia di continuare a diffondersi (overshooting) anche una volta raggiunto un determinato livello di immunità di gregge – un po’ come un incendio che continui a bruciare a pieno ritmo nonostante stia per finire il suo carburante.

Peggio ancora, le infezioni non sono distribuite in maniera uniforme: alcune persone hanno un sacco di contatti, altre pochi. Le persone si muovono inoltre all’interno di reti sociali diverse tra loro: alcune hanno magari molti amici e familiari immuni, altre molti meno. Alcune hanno posti di lavoro che aumentano i loro rischi, altre no. È quindi assolutamente possibile che un paese, nel suo insieme, raggiunga l’immunità di gregge contro un agente patogeno, ma che vi siano focolai in comunità con tante persone non vaccinate al loro interno. È accaduto per il morbillo negli stati di California, Michigan e New York, tra le comunità resistenti al vaccino. Inoltre il covid-19 ha un alto tasso di dispersione. Le infezioni si sviluppano in focolai, sparsi e distinti. Un singolo evento può comportare l’infezione di dozzine o addirittura centinaia di persone contemporaneamente in un evento di superdiffusore.

Altre complicazioni
Rispetto alle precedenti ondate, a parità di casi tra i non vaccinati, questa attuale può potenzialmente provocare più malattie e decessi, infettando meno persone ma provocando per loro danni maggiori. È verosimile che vedremo più persone giovani e non vaccinate ammalarsi e morire. Lo abbiamo osservato in altri paesi, come il Regno Unito e Israele, che hanno cominciato a vaccinare gli anziani dopo che la variante B.1.1.7 si era già diffusa, e hanno poi avuto molte vittime tra i più giovani. Questa variante è anche molto difficile da estirpare. Il Regno Unito, per esempio, è riuscito a evitare esiti più catastrofici ritardando le dosi di richiamo per coprire inizialmente più persone, ma ha comunque dovuto fare i conti con ondate lunghe, come Israele. Addirittura nel Regno Unito, con la campagna vaccinale avviata all’inizio di dicembre già in corso, quasi cinquantamila persone sono morte di covid-19 nei soli mesi di gennaio e febbraio di quest’anno, pari a quasi i due terzi del totale delle vittime di tutto il 2020.

Sono emerse inoltre altre complicazioni. In alcuni luoghi potremmo assistere a quelle che i negazionisti della pandemia hanno definito casodemia – la falsa idea secondo cui c’è un aumento dei casi senza alcun concomitante aumento di malattie o decessi. Nei mesi passati questi negazionisti sono stati sconfessati, perché il numero di contagi e i tassi d’infezione erano indicatori fondamentali dei successivi ricoveri e decessi. Stavolta, in molti casi, l’aumento dei contagi potrebbe non determinare conseguenze ospedaliere misurabili, perché molti anziani sono vaccinati. Ma questa ondata non potrà comunque essere archiviata semplicemente come casodemia, perché questo virus può avere effetti a lungo termine – noti come covid lungo– anche per alcune porzioni più giovani della popolazione. Questo effetto è stato osservato anche in altre malattie virali, come influenza e polmonite non batterica, ed è chiaramente un dato importante da tenere in considerazione, soprattutto quando così tante persone entrano in contatto con un nuovo virus per la prima volta nella vita adulta.

Anche se la sorveglianza genomica non è attiva in tutto il paese, possediamo alcuni dati, e tutto lascia credere che l’aumento dei contagi avvenga in luoghi con alte percentuali della variante B.1.1.7 rintracciata nei tamponi: Michigan, New Jersey, Philadelphia, Florida, California del sud, e pochi altri. Alla metà di marzo nel Michigan, per esempio, solo il 28 per cento dei neri di oltre 65 anni aveva ricevuto una dose di vaccino – una quota che scende al 15 per cento a Detroit, nonostante più del 60 per cento di tutti i cittadini anziani dello stato fosse stato almeno parzialmente vaccinato. Simili iniquità sono state segnalate in tutto il paese, con grandi disparità nei tassi di vaccinazione, soprattutto tra gli anziani, che sono i più vulnerabili alle malattie gravi. Anche i lavoratori essenziali e in prima linea, che rispetto alla media statunitense tendono a essere più poveri e più spesso ispanici o neri, hanno livelli di copertura vaccinale che variano da stato a stato.

Vaccinazione ad anello
La soluzione è ovvia e praticabile: dobbiamo immediatamente rispondere all’aumento delle varianti con un analogo aumento dei vaccini per i più deboli, andando a cercarli dove si trovano, nelle città e negli stati in preda a focolai attivi: un’attività modellata su uno strumento di sanità pubblica detto “vaccinazione ad anello”. Questa avviene vaccinando i contatti – conclamati e presunti– dei positivi, sostanzialmente spegnendo i focolai circondandoli d’immunità. È quel che dovremo fare, ma a un livello proporzionale all’ondata, vaccinando di fatto intere città e anche stati.

Un aumento delle vaccinazioni passa dalla creazione di tende per la vaccinazione nei quartieri più vulnerabili e meno vaccinati – strada per strada, se necessario – con personale mobile di vaccinazione che bussi a ogni porta laddove possibile. Significa indirizzare le riserve di vaccino nei luoghi dove le varianti sono in crescita, anche se questo significa destinare meno dosi – per ora – ai luoghi dove l’epidemia è sotto controllo. Non ha senso vaccinare persone venticinquenni in luoghi con un bassissimo livello di circolazione prima degli anziani e dei lavoratori essenziali di località dove ci sono focolai.

Un’altra mossa sensata sarebbe ritardare le riaperture – soprattutto dove i casi sono in aumento e soprattutto per quelle attività ad alto rischio che hanno luogo all’aperto – finché i prossimi cento milioni di statunitensi saranno vaccinati, un’operazione che potrebbe essere conclusa anche in un solo mese. Non ha senso correre a riaprire tutto adesso, quando aspettare alcune settimane potrebbe proteggere molte persone. Nel frattempo dobbiamo proteggere i lavoratori essenziali fornendogli mascherine ad alto filtraggio e ferie pagate, concentrando le campagne vaccinali nei loro posti di lavoro. Abbiamo già chiesto molto a queste persone, che hanno già sofferto abbastanza.

Capisco l’impazienza per le restrizioni – anche io sono stanca ed esasperata – ma la nostra smania rischia di creare un’ennesima serie di vittime che potrebbero facilmente essere evitate. Non dovremmo condannare nessuno a essere l’ultima persona a morire inutilmente in una guerra che vinceremo, e tra poco. I vaccinati possono chiaramente fare più cose, e con maggiore sicurezza, specialmente due settimane dopo la loro ultima dose. Ma è un periodo particolarmente pericoloso per i non vaccinati, che meritano la nostra attenzione, le nostre risorse, e il mantenimento di appropriate misure di contenimento.

Varianti più pericolose saranno un enorme problema anche nel resto del mondo. Il Brasile sta facendo i conti con una variante locale e con l’aumento dei casi, e ogni giorno registra un numero record di morti, mentre il suo sistema ospedaliero rischia di crollare per il sovraccarico di lavoro. Vari paesi europei stanno entrando in nuovi cicli di lockdown, mentre fanno i conti con un aumento dei casi dovuto alla variante B.1.1.7, senza copertura o forniture vaccinali sufficienti. Paesi come l’India, che erano stati relativamente risparmiati, stanno vivendo un importante aumento di casi e decessi e anche qui la B.1.1.7 e altre varianti sembrano avere un ruolo importante. Tanti paesi devono ancora vaccinare una singola persona, e adesso corrono il rischio di nuove ondate alimentate da varianti più complesse. Durante la pandemia di hiv, abbiamo vissuto lo stesso tragico fallimento morale: i paesi poveri hanno ottenuto forniture consistenti di terapie antivirali efficaci – e costose – solo dieci anni dopo che queste erano diventate disponibili nei paesi ricchi. Nel frattempo milioni di persone sono morte.

La crescita esponenziale – tratto caratteristico delle epidemie, ma che la variante B.1.1.7 accelera – è pericolosa ma anche sensibile ai piccoli cambiamenti iniziali, il che offre un vantaggio a chi si muove rapidamente. Un leggero aumento della trasmissibilità può fare la differenza tra un’epidemia che si esaurisce o è facilmente arginata grazie a un ragionevole numero di misure di contenimento, e una che devasta un intero paese. Cominciare le vaccinazioni alcune settimane prima può fare la differenza tra l’essere ampiamente in grado di sconfiggere il virus e il ritrovarsi travolti dalla sua crescita esponenziale.

Sappiamo cosa dobbiamo fare: rispondere all’aumento delle varianti con i vaccini e continuare ancora un po’ con le nostre misure di contenimento. Abbiamo le infrastrutture e le scorte di vaccino per farlo. Dobbiamo solo agire. Adesso.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul mensile statunitense The Atlantic.

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