Stavamo seguendo in tv le notizie riguardanti l’inchiesta sul sindaco di Baghdad, Sabir al Issawi, accusato di corruzione, quando uno dei miei giornalisti telefona dicendo che c’era stata un’esplosione al parlamento. C’erano molti morti e feriti.
Il giorno dopo anche i parlamentari hanno ammesso le loro paure. “Com’è possibile che i terroristi abbiano raggiunto il parlamento, dove ci sono almeno cinque check point che controllano i passanti? Nemmeno i parlamentari possono parcheggiare vicino all’edificio”.
Hussein al Miribi definisce la situazione preoccupante per le forze di sicurezza. Un messaggio pericoloso a meno di un mese dalla partenza delle truppe statunitensi dall’Iraq.
Ma alcuni lanciano le accuse in un’altra direzione. Il movimento sciita guidato da Muqtada al Sadr accusa gli statunitensi di essere dietro all’ondata di violenza in corso, “per dimostrare che dopo il loro ritiro nessun posto sarà sicuro”.
Il primo ministro Nuri al Maliki accusa gli ex sostenitori del partito Baath di aver organizzato le ultime azioni terroristiche per favorire il ritorno dei militari.
Un parlamentare sunnita mi ha detto, ufficiosamente: “Non è possibile arrivare in un posto così delicato senza l’aiuto dei servizi di sicurezza del posto. Il nemico è all’interno”.
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