04 giugno 2019 17:42

Cinque esplosioni nella delicata città di Kirkuk, tensioni tra il governo regionale del Kurdistan e il governo centrale, scambi reciproci di accuse tra i due partiti curdi al potere sull’elezione del presidente della regione autonoma del nord. Le divisioni interne al paese si acuiscono mentre emergono anche contrasti tra l’Iraq e il resto dei paesi arabi riguardo l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’Iran.

Nel corso del vertice arabo di emergenza che si è tenuto alla Mecca il presidente iracheno Barham Saleh ha tentato di evitare le accuse riguardo alla presunta interferenza dell’Iran in altri paesi. Saleh ha chiesto ai partecipanti al summit di sostenere la stabilità del suo paese, ma ha rifiutato di sottoscrivere la dichiarazione finale dell’incontro.

Nel mezzo di questi conflitti, il primo ministro iracheno Abdul Mahdi si trova intrappolato tra i due avversari internazionali, Stati Uniti e Iran, e i loro rispettivi alleati nel paese. Ognuno dalla sua posizione se la prende con lui.

L’obiettivo migliore
Intanto in Iraq il clerico sciita Muqtada al Sadr ha mandato un avvertimento molto chiaro al governo “Agite o agiremo noi”, riferendosi alla forza dei suoi milioni di sostenitori. La sua minaccia è arrivata in contemporanea alle bombe di Kirkuk, che hanno fatto cinque morti e 18 feriti.

Un momento così delicato per l’Iraq si è rivelato favorevole al gruppo Stato islamico (Is) per mostrare la propria esistenza. Centinaia di suoi jihadisti sono rientrati dalla Siria. Secondo fonti irachene e statunitensi sarebbero circa 15mila i miliziani dell’Is presenti in Iraq, cellule dormienti in attesa nei dintorni delle città, e per loro Kirkuk è l’obiettivo migliore.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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