20 agosto 2021 12:17

Quest’anno le mie vacanze sono state su ruote. Otto erano quelle delle due carrozzine elettriche con cui, alternativamente, ho percorso in totale circa 140 chilometri: alcuni lungo il tratto italiano della pista ciclabile Alpe-Adria Radweg che, in Friuli-Venezia Giulia, collega la città di Grado a Tarvisio (l’intero percorso è lungo 408 chilometri e termina a Salisburgo, in Austria) e altri lungo tragitti simili. Altre ventidue ruote erano quelle delle biciclette dei miei compagni e delle mie compagne di viaggio. Ancora quattro quelle del furgone che ci ha accompagnato durante quest’avventura.

L’idea è nata un anno fa, dopo una vacanza trascorsa in compagnia di alcuni degli amici e amiche con cui ho condiviso questo viaggio. Eravamo a Chiusaforte, un piccolo paese situato nei pressi di una strettoia nella valle del fiume Fella, attraversato dalla ciclovia. Lì, nei locali di quella che un tempo era l’ex stazione ferroviaria del paese, i soci e i dipendenti della cooperativa La Chiusa gestiscono la Stazione di Chiusaforte, un punto di ristoro per i ciclisti in transito, oltre che per gli abitanti del luogo. Il tratto di ciclabile che attraversa queste zone è stato costruito lungo quelli che una volta erano i binari della ferrovia Pontebbana che collegava Udine, Gemona, Pontebba (un tempo confine con l’impero austro-ungarico) e Tarvisio. La ferrovia, aperta nel 1879, è stata operativa fino al 1995 e nel 2010 la ciclabile ha sostituito i binari.

Io frequento quel luogo da molti anni. Dall’incontro con quella realtà è nato il desiderio condiviso di un viaggio itinerante in bicicletta e carrozzina elettrica lungo un tratto della ciclovia. Con il passare dei mesi il desiderio si è trasformato in un progetto di vacanza.

Questo è il diario di bordo di un’avventura organizzata nel dettaglio in poco più di un mese, durata una settimana e lunga circa 140 chilometri.

9 luglio

Si parte. Siamo un gruppo ben nutrito e variegato: cinque adulti e otto tra bambini e ragazzi. Moreno, il tecnico dell’ortopedia Antoniana, ci raggiungerà domani in furgone con le due carrozzine elettriche.

Optiamo per un inizio di vacanza soft: oggi andremo nella spiaggia libera più vicina al nostro campeggio, a Sistiana, una frazione del comune di Duino-Aurisina in provincia di Trieste.

Purtroppo per accedere al mare bisogna scendere una scalinata abbastanza stretta. Tempo fa ho vissuto per un anno a Trieste e so per esperienza che sia la città sia la provincia, pur essendo territori bellissimi, non sono facilmente accessibili a persone con disabilità, a causa delle loro caratteristiche morfologiche e urbanistiche. La costa in quella zona è rocciosa e quasi sempre l’accesso al mare non è allo stesso livello della strada.

Per ora nessuna delle amministrazioni comunali della regione Friuli-Venezia Giulia ha aderito a Bandiera lilla, un progetto nato nel 2012 per promuovere il turismo per tutti e tutte, valorizzando quelle amministrazioni comunali che, pur non essendo accessibili al cento per cento (condizione non sempre possibile da realizzare in Italia), si stanno impegnando a migliorare questo aspetto. L’adesione è libera, cioè i comuni che lo desiderano possono chiedere di essere valutati dalla cooperativa che gestisce il progetto.

Sebbene le spiagge senza barriere da queste parti siano una rarità, sarebbe bastato consultare internet per scoprire che nei dintorni esistono alcuni stabilimenti accessibili in toto o almeno parzialmente, come per esempio quello di Castelreggio o lo stabilimento Sirena, nella baia di Grignano. Oppure avremmo potuto optare per alcune delle spiagge di Grado o di Trieste, più distanti ma indicate online come attrezzate per bagnanti con disabilità.

Non ci è venuto in mente perché sia io sia i miei amici sappiamo che, se sorretta sottobraccio o sotto le ascelle, sono in grado di muovere qualche passo, per cui è in questo modo che spesso e volentieri riusciamo a superare le barriere architettoniche di cui ancora oggi purtroppo pullulano le città e i luoghi turistici italiani. La mia è una strategia di adattamento all’ambiente che spesso mi permette di raggiungere i miei obiettivi, ma non tutte le persone con disabilità sono nelle mie stesse condizioni.

Verso sera raggiungiamo il campeggio, i miei amici e le mie amiche montano le tende e ceniamo. Prima di andare a dormire vado in bagno, accompagnata da Barbara. Al momento della prenotazione, la proprietaria ci aveva avvertito che il campeggio era in genere accessibile, tranne il bagno. Infatti c’è un piccolo scalino in entrata ed è troppo stretto per poterci entrare con la carrozzina. Entro a piedi, sorretta da Barbara, con un po’ di fatica reciproca (il rovescio della medaglia di vivere in un appartamento senza barriere architettoniche è che ci si disabitua ad affrontarle!). Nel resto del campeggio, invece, mi sposto agilmente.

10 luglio

Sveglia ore 8.45. Ho riposato benissimo. Mi siedo con i piedi per terra, fuori dalla tenda. Barbara e Ivo mi aiutano ad alzarmi in piedi e a posizionarmi sulla carrozzina.

Abbiamo deciso di raggiungere Grado in auto e percorrere il tratto della ciclovia del mar Adriatico che collega la cittadina marittima a Punta Sdobba, un villaggio di pescatori nell’oasi naturalistica del Caneo, per proseguire poi fino all’isola della Cona per un totale di circa 23 chilometri.

Il percorso di oggi costeggia la parte più orientale della laguna di Grado, poi la riserva naturale della valle Cavanata, prosegue lungo la costa del mare Adriatico e si conclude nella riserva naturale della foce del fiume Isonzo.

Comincio il viaggio a bordo di Tina, la mia carrozzina elettrica. Gli adolescenti del gruppo si accorgono con un certo disappunto che il mio “potente mezzo” in realtà non è veloce quanto le loro biciclette e scalpitano, impazienti di accelerare. Lascio che mi superino, seguiti dagli adulti. Siamo tutti nemici del “tempo unico”, ognuno ha il suo ritmo e la sua velocità, tanto in questo viaggio quanto nella vita.

Verso Punta Sdobba, 10 luglio 2021


Proseguo al fianco di Barbara: la sua velocità di crociera è uguale alla mia e da oggi diventerà una delle mie più assidue compagne di “rotellate”. Procediamo insieme chiacchierando indisturbate. A volte il viaggio diventa tempo per coltivare quelle relazioni a cui nel quotidiano non è sempre facile dare lo spazio che desidereremmo.

Dopo una sosta per pranzo, salgo sulla carrozzina che mi ha prestato la ditta tedesca Ottobock e ripartiamo, diretti all’isola della Cona. Il mio nuovo mezzo di trasporto può raggiungere i 14 chilometri all’ora mentre quello che possiedo viaggia al massimo ai dieci chilometri. Vorrei sperimentare subito l’ebbrezza della velocità ma Moreno mi impone tassativamente di regolarla, almeno per oggi, sui dieci chilometri all’ora per abituarmi al diverso modello. “Te si pericolosa”, mi dice in dialetto padovano. Sembrano tutti d’accordo.

Oggi sul mercato esistono numerosi modelli di carrozzine elettriche. Alcune di loro offrono performance superiori, come la possibilità di superare ostacoli fino a dieci centimetri, di raggiungere velocità fino anche a venti chilometri all’ora, di percorrere terreni sconnessi senza perdere stabilità grazie agli ammortizzatori posti su tutte e quattro le ruote, di avere batterie che permettono una maggiore autonomia (fino a 35 chilometri), di avere la possibilità di elevazione della seduta, eccetera. Questa tipologia di carrozzina è certamente più adatta a vacanze “wild” tipo la nostra. La carrozzina di Ottobock appartiene a questa categoria e, fin dai primi chilometri, mi è sembrata più resistente e adatta a percorrere terreni anche molto dissestati: la ribattezziamo subito Draghessa.

11 luglio

Sveglia ore 8. Partenza in auto dal campeggio ore 10.

Meglio di ieri come tempistiche, penso mentre saliamo in macchina diretti a Trieste. Lì comincia la pista ciclopedonale Giordano Cottur che ci condurrà nella riserva naturale della Val Rosandra, un avvallamento del Carso triestino, per arrivare a Draga, una frazione del comune di San Dorligo della Valle (Ts), nel pressi del confine con la Slovenia. Oggi il ritorno sarà sempre in bici e carrozzina elettrica, quindi percorreremo complessivamente 24 chilometri circa.

Anche oggi è una splendida giornata di sole. Corro da sola e il vento mi spettina i capelli. Questa è una delle immagini che meglio rappresenta cos’è per me l’autodeterminazione, cioè la competenza personale di compiere scelte autonome. Viaggiando da sola in carrozzina elettrica sono io che stabilisco la meta e la velocità del mio viaggio, le soste e le ripartenze. È un andare differente rispetto alle occasioni in cui mi sposto con la sedia a rotelle manuale e devo essere accompagnata da altri perché non sono autonoma nell’usarla.

In questi casi il tempo del viaggio è necessariamente anche un tempo di relazione con l’altro/a ma non sempre lo stare in relazione è una libera scelta.

Quando la non autosufficienza di una persona rende il suo rapporto di dipendenza con gli altri indispensabile, la solitudine non è sempre facile da conquistare.

Forse anche chi è genitore potrebbe dire la stessa cosa, e mi chiedo quanto questo mio sentire sia condiviso da chi, anche in questo gruppo, è madre.

Viaggiare da sola è per me un’esperienza di libertà e possibilità di introspezione personale che nulla toglie alla ricchezza del viaggio condiviso con altri.

Un sentiero difficile con Zaccaria, 11 luglio 2021


Proseguo veloce e affianco Zaccaria, nove anni, che si è staccato dal gruppo e procede da solo. Giungiamo in un punto critico: la pendenza del sentiero è maggiore e soprattutto ci sono alcuni sassi abbastanza grossi da ostacolare la carrozzina. La Draghessa si blocca. Provo a muovere il joystick prima in avanti e poi indietro ma così facendo peggioro la situazione: le ruote posteriori girano a vuoto e una di quelle anteriori si solleva, rimanendo leggermente in bilico a pochi centimetri da terra.

Ovviamente in quel momento sulla pista non passa nessuno. Potrei chiamare gli altri ma decido di aspettare perché ora non riuscirebbero comunque a esserci di aiuto. Avrò fatto una stupidaggine io, persona non autosufficiente, ad avventurarmi da sola con un bambino lungo un sentiero a me sconosciuto? Credo che molti risponderebbero di sì, ma ora non è il momento opportuno per pensarci. Mi tranquillizzo e studio la situazione: la Draghessa è rimasta abbastanza stabile, seppur con la ruota leggermente sollevata, perché dotata di rotelle posteriori anti-ribaltamento. Non è impossibile togliersi dall’impiccio. Bisogna lavorare di squadra, lui con le braccia e le gambe e io con la testa, o almeno lo spero.

Indico a Zachi quali sono i sassi da togliere per liberare le ruote della carrozzina. Sono abbastanza grossi ma comunque alla sua portata e infatti ce la fa. Ora posso provare a fare la retromarcia ma non ho gli specchietti retrovisori, quindi gli chiedo di darmi istruzioni su come procedere. Niente male, Zaccaria!

Proseguiamo verso Draga, la nostra meta: fortunatamente il nostro viaggio scorrerà liscio.

14 luglio

Siamo in montagna da due giorni.

Siamo un gruppo ben affiatato e in grado di collaborare per la gestione degli aspetti organizzativi, nel rispetto dei tempi e dei ruoli che ciascuno sente maggiormente affini. Marianna, per esempio, non se la sente di pedalare a lungo ma è quella che prepara i pranzi per tutto il gruppo; è Ivo che ama le corse spericolate in bici insieme ai ragazzi, mentre sono Barbara e Michela che di solito mi aiutano nell’igiene personale.

Lunedì, dopo aver smontato il campeggio, ci siamo concessi una giornata di relax al lago del Predil, in provincia di Tarvisio, per poi raggiungere la Stazione di Chiusaforte che sarà la nostra base per i restanti giorni di vacanza.

Ieri invece abbiamo percorso il tratto più bello dell’Alpe-Adria in Italia, ovvero quello che da Tarvisio scende fino a Chiusaforte: 35,5 chilometri di boschi, cascate, fiumi e ponti. Qui la natura e l’opera umana hanno trovato un equilibrio che non stona alla vista.

Oggi percorreremo il tratto di ciclabile che conduce a Moggio, un paese limitrofo a Chiusaforte, in direzione Grado, e ritorno per un totale di 24 chilometri circa.

Ieri sera, prima di coricarmi, mi sono dimenticata di chiedere a Elena di mettere in carica la mia carrozzina elettrica e il livello della batteria è a metà. Non è un buon inizio. Oltretutto, anche le batterie della Draghessa si stanno ancora ricaricando, quindi almeno per questa mattina è impensabile adoperarla. Userò la mia, sperando che non mi abbandoni a metà percorso.

Il limite tra la responsabilità individuale e quella altrui in una relazione di dipendenza non è sempre facile da individuare, ma saperlo fare è indispensabile ai fini del processo di autodeterminazione individuale. Non essere autosufficienti implica la necessità di un aiuto pratico nello svolgimento delle diverse mansioni della quotidianità. Ciò però non deve tramutarsi, per una persona con disabilità, in una delega totale dei suoi impegni e doveri a chi l’assiste.

Nell’esempio specifico io non riesco fisicamente a collegare la batteria della carrozzina alla corrente elettrica ma sarebbe mio compito ricordare a qualcuno di farlo.

La deresponsabilizzazione nei confronti della gestione della propria quotidianità e la conseguente iper-responsabilizzazione altrui sono due manifestazioni complementari di abilismo. La prima in particolare rappresenta per me, persona particolarmente sbadata e smemorata, un forte rischio. Negli anni ho imparato a usare strategie per gestire questa mia criticità, che funzionano… quasi sempre!

In questo caso non mi rimane che partire, sperando che Tina non mi abbandoni.

Nella prima parte del tragitto tutto scorre liscio. Dopo pranzo Moreno, Ivo e io optiamo per raggiungere la chiesa di Santo Spirito, situata sulla cima dell’omonimo colle e adiacente all’abbazia benedettina di San Gallo, ora abitata dalle suore clarisse.

Guardo il display luminoso sulla centralina dei comandi. Le tacche di colore diverso indicano il livello di carica della batteria: dalle cinque verdi – batteria completamente carica – alle quattro rosse – riserva – passando per quelle arancioni, che segnalano un livello intermedio. Tina ha ancora accese tutte le luci rosse e due arancioni. Nonostante sia meno resistente della Draghessa, sono convinta che ce la possa fare a percorrere la distanza che ci separa dalla nostra meta: non sono nemmeno due chilometri, ma in salita…

Procediamo tra stradine in mezzo a prati verdi. Le luci arancioni si spengono.

Attraversiamo un ponte su un fiume, percorriamo ancora qualche chilometro in piano e poi iniziamo la salita. La carrozzina affronta un tornante dopo l’altro ma sempre più a fatica. Rallenta visibilmente. Ora sul display è rimasta solo una tacchetta rossa lampeggiante. Niente, non ce la fa. Bloccata. Vengo raggiunta dai miei due amici che, in equilibrio sulle biciclette, riescono a spingere la carrozzina da dietro, con una mano. Confortato da questo aiuto il mio bolide rinviene.

Arriviamo nel piazzale della chiesa. Il terreno è in piano e la batteria in riserva mi consente di spostarmi ancora. Pranziamo, poi Moreno rimonta in sella alla sua bicicletta per andare a recuperare il furgone con la Draghessa, che nel frattempo dovrebbe essersi ricaricata.

16 luglio

Ieri abbiamo percorso il tratto di ciclabile che da Tarvisio giunge a Kranjska Gora, località alpina della Slovenia nordoccidentale, vicino alle montagne e ai laghi glaciali del parco nazionale del Tricorno, per un totale di circa 36 chilometri.

Oggi è l’ultimo giorno di vacanza. Destinazione: parco tematico Abschnitt Saisera, un museo a cielo aperto dedicato alla grande guerra e nato nel 2012 in Val Saisera, nel comune di Malborghetto Valbruna.

Il ritorno da Kranjska Gora, 15 luglio 2021


Mi piacerebbe visitare il parco ma i luoghi usati dai soldati durante i combattimenti sono per loro natura poco accessibili.

Decido quindi di perlustrare il bosco nei dell’agriturismo dove abbiamo pranzato, accompagnata da Moreno.

Dopo un paio d’ore torniamo alle auto e ci ritroviamo con il resto del gruppo. Nicolai, tredici anni, che ha visitato il parco, me lo descrive. Alcune esperienze, per varie ragioni, rimangono non accessibili ad alcune persone, ma attraverso il racconto possono diventare comunque un patrimonio condiviso.

Entriamo in auto, sento il rumore dei motori che si accendono. Siamo pronti per tornare a casa.

Questo è il racconto di un viaggio e dell’ingrediente principale che lo ha reso possibile: le relazioni. Quelle tra un gruppo di amiche e amici di lunga data e i loro figli e figlie, che hanno immaginato possibile vivere un’avventura del genere.

Ringrazio per la partnership Ottobock, la ditta tedesca produttrice di protesi e ausili per l’autonomia delle persone con disabilità che mi ha prestato una delle due carrozzine elettriche usate durante il viaggio; ortopedia Antoniana, l’azienda padovana di distribuzione di prodotti ortopedici e ausili, che ha messo a disposizione uno dei suoi furgoni aziendali per trasportarle; e la disponibilità di Moreno, il tecnico della ditta, che ha deciso di utilizzare parte delle sue ferie per guidarlo.

È stata fondamentale la disponibilità dei soci e dei dipendenti della cooperativa La Chiusa a ospitare le tende dei miei compagni di viaggio.

Ringrazio infine Mario Saccomanno, guida turistica e ideatore del sito Amici della ciclovia Alpe Adria, per la revisione delle parti descrittive dei percorsi.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it