09 aprile 2017 10:42

Giacomo Caldarelli, Andrea Mincigrucci, Andrea Frenguelli e Ivan Frenguelli (nessuna parentela tra loro) sognavano “dai tempi dell’università” di avere un luogo dove incontrarsi, bere qualcosa insieme e vedere un bel film o documentario, magari discutendone con l’autore o con un critico cinematografico.

Ora che il sogno si è realizzato, i quattro amici trascorrono le loro giornate alla biglietteria, dietro il bancone del bar e a fare le pulizie del cinema PostModernissimo, nato sulle ceneri della più antica sala di Perugia, l’ex Carmine, poi diventato Moderno e infine Modernissimo.

Sono così impegnati che confessano di non riuscire neppure a vedere tutti i film che proiettano, fino a dieci alla settimana, e ad assistere a tutte le iniziative che si svolgono nelle tre sale, da 159 posti la più grande, da 59 l’intermedia, intitolata al regista Luchino Visconti, padre del neorealismo italiano, e da 30 la più piccola e più amata.

L’Anonima impresa sociale e cinematografica
L’hanno scavata in una sorta di nicchia ed è il cuore del PostModernissimo, “la nostra terza sala”, dice Ivan Frenguelli, strizzando l’occhio alle vecchie terze pagine dei giornali, dove s’incrociavano attualità e cultura. Non a caso, gran parte della programmazione è occupata dai documentari, un genere che raramente trova spazio sul grande schermo.

La storia del PostModernissimo non meriterebbe di essere raccontata se si fosse trattato solo del divertissement di un gruppetto di giovani amanti della settima arte. Non lo sarebbe neppure se fosse solo l’ennesimo, lodevole tentativo di arginare la chiusura di storiche sale cinematografiche. Per capirla bene bisogna fare un passo indietro fino al 2014.

È stato in quell’anno che, mentre in tutta Italia sale storiche chiudevano una dietro l’altra sotto i colpi della crisi economica e del dilagare dei multisala, i due Frenguelli, Caldarelli e Mincigrucci, perugini doc e già impegnati nel settore cinematografico, hanno perfezionato la loro idea di creare un “cinema di comunità”, una sorta di bene comune modellato sui loro desideri ma da mettere a disposizione dei loro concittadini.

Giacomo Caldarelli, Andrea Mincigrucci, Andrea Frenguelli e Ivan Frenguelli nell’atrio del cinema PostModernissimo, Perugia, novembre 2016. (Fabio Zayed e Maila Iacovelli)

Hanno incrociato la disponibilità della famiglia Donati, che fino al 2000 aveva gestito un cinema d’essai a metà della scalinata del Carmine, in pieno centro storico. Quest’ultimo, aperto nel 1978, aveva chiuso i battenti all’alba del nuovo millennio con la promessa solenne della proprietaria Serena Donati che “dopo di me qui non ci sarà più alcun cinema”.

Per una quindicina d’anni è rimasto abbandonato, finché l’ex titolare e soprattutto sua figlia Alessandra, che possiedono l’intero palazzo, rompendo l’embargo hanno acconsentito alla riapertura, dando fiducia all’idea che un “cinema di comunità” potesse ereditare la loro passione cinematografica.

Ricostruire un pezzo di città
Chi non ci avrebbe scommesso un centesimo erano proprio i futuri fondatori del PostModernissimo: “Siamo cresciuti con il mito del Modernissimo, per noi era impensabile pensare di riaprirlo, credevamo di non avere alcuna possibilità”, dicono oggi, tranquillamente seduti al bar bistrot dov’è un via vai di amici, soci e semplici frequentatori. Invece i Donati gliel’hanno offerta, concedendogli i locali, dove tutto era stato lasciato come si trovava nel momento della chiusura, congelato come in attesa che un giorno qualcuno arrivasse a rilevarne il testimone.

Con l’aiuto di un amico architetto l’hanno risistemato con gusto solo apparentemente vintage, lasciando al suo posto qualche cimelio del vecchio cinema, come l’insegna sulla biglietteria, per segnalare la continuità con quello che il luogo era stato e aveva rappresentato per un pezzo di città. Hanno costituito una cooperativa, che hanno chiamato Anonima impresa sociale, e avviato una campagna di crowdfunding. “Abbiamo fatto leva sulla mancanza del Modernissimo, che era rimasto nel cuore di molti, e chiesto ai cittadini un contributo per riaprirlo”, racconta Caldarelli.

Con dieci euro si ottenevano dei biglietti in preacquisto, con cento si poteva diventare soci della cooperativa e partecipare alle decisioni. Hanno aperto un sito attraverso il quale si potevano inviare le sottoscrizioni e “ce ne siamo andati al festival di Venezia”, con una punta di disincanto e scetticismo: “Pensavamo che la raccolta di fondi non avrebbe funzionato”, ammettono.

I quattro ideatori si considerano uno strumento di un progetto più ampio di ‘rigenerazione urbana’

Invece, è accaduto che “da Perugia ci hanno chiamato perché davanti all’ex Modernissimo c’era la fila di persone con i dieci euro in mano”. Volevano contribuire alla sua riapertura e metterci la faccia, non accontentandosi di sottoscrivere attraverso il sito web creato ad hoc. Così, i quattro amici cinefili sono stati costretti a rientrare e a contare i soldi raccolti: 40mila euro, che hanno costituito la base per la ripartenza del PostModernissimo.

A questi si sono poi aggiunti due finanziamenti europei (uno da 50mila euro a tasso zero per l’imprenditoria giovanile e un secondo destinato alle cooperative da 150mila euro, a un tasso di interesse dell’1 per cento) e un mutuo bancario, che hanno consentito di realizzare un’impresa quasi incredibile.

Il bilancio 2016 parla di più di 50mila biglietti staccati e sale puntualmente con “tutto esaurito”, al punto da far dire ai fondatori che, se dovessero riprogettarle oggi, ne aumenterebbero la capienza.

Una sala del cinema PostModernissimo, Perugia, novembre 2016. (Fabio Zayed e Maila Iacovelli)

Il locale è diventato punto di ritrovo non solo per cinefili. Anzi, spiegano, la visione del film è solo una delle possibilità che questo luogo offre. Gli eventi musicali e i dj set fanno il pienone, mentre i film in lingua originale attirano gli studenti della vicina Università per stranieri. I due Andrea, Giacomo e Ivan si considerano uno strumento di un progetto più ampio di “rigenerazione urbana”: “Abbiamo voluto riappropriarci di uno spazio importante per la città e restituirlo ai cittadini”, sostengono.

È anche grazie al traino del PostModernissimo che via della Viola, una stradina in leggera discesa che comincia alla fine della rampa di scale del Carmine lungo le quali si trova il cinema, un tempo ricca di attività artigiane, sta cominciando a rifiorire: l’ex convento di San Fiorenzo è diventato la Casa delle associazioni ed è frequentato da studenti e attivisti sociali, mentre lungo la via sono nati laboratori artistici, vinerie e osterie.

La sfida è arginare la fuga dalla città vecchia. Nonostante l’avveniristico minimetro che in appena undici minuti consente di arrivare in centro abbia facilitato gli spostamenti tra salite, discese e scalinate, dei 70mila abitanti di Perugia appena settemila vivono nel centro storico. A questi vanno aggiunti novemila studenti fuori sede, molti dei quali stranieri.

Numeri che la rendono una delle città universitarie per eccellenza nel nostro paese.

Un modello per arginare i multisala
Oggi il PostModernissimo è considerato in Europa un prototipo per arginare la crisi del settore e lo strapotere delle multisale. Ha appena vinto un concorso sui cinema del futuro nel continente e la sua storia è finita sui prestigiosi Cahiers du cinéma francesi, che lo hanno accomunato ad altre esperienze simili, come il Wolf di Berlino, il Kino di Rotterdam e il Numax di Santiago de Compostela, dove hanno creato una cooperativa di credito per raccogliere i soldi necessari senza passare attraverso le banche e il giorno della riapertura si è presentato a sorpresa il regista finlandese Aki Kaurismaki per assistere alla proiezione di un suo vecchio film, Nuvole in viaggio. A Perugia non sono da meno: alla prima proiezione di Elle del regista Paul Verhoeven, agli inizi di aprile 2017, è arrivata l’attrice protagonista, la francese Isabelle Huppert.

I due Andrea, Giacomo e Ivan rifuggono l’etichetta di cinema d’essai. Non vogliono perimetrare troppo il raggio d’azione: “La bussola è fatta dai nostri personalissimi gusti e soprattutto dalla qualità”, al di là del fatto che un’opera sia considerata commerciale o meno: nel primo scorcio del 2017, c’è stato spazio per il pluripremiato agli Oscar La La Land di Damien Chazelle e per il documentario Assalto al cielo di Francesco Munzi sui movimenti giovanili tra il 1968 e il 1977. Allo stesso tempo, rifiutano la logica del “bigliettificio”: in un “cinema di comunità”, spiegano, si viene per incontrarsi, discutere, partecipare. Poi, eventualmente, si guarda insieme un film.

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