22 giugno 2019 11:25

Questo articolo è uscito il 21 giugno 2019 a pagina 43 del numero 1312 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

L’incrocio delle Quattro strade, crocevia fondamentale per i contadini dell’Alfina, è circondato da campagne che si estendono a perdita d’occhio. Dai terreni intorno, ben allineate e quasi invisibili, sbucano centinaia di piantine alte appena pochi centimetri. Sono noccioli e in cinque anni diventeranno alberi da frutto e trasformeranno radicalmente il paesaggio dell’altopiano che si estende tra il lago di Bolsena e di Orvieto, finora composto soprattutto da campi coltivati a cereali e ortaggi, uliveti, castagneti e boschi. La regista cinematografica Alice Rohrwacher, che è nata da queste parti e vive vicino allo snodo di stradine che collega il Lazio con l’Umbria e la Toscana, confessa: “Quando nella primavera del 2018 sono cominciati i lavori di sbancamento non riuscivo a capire perché tra la gente del posto ci fosse chi se la prendeva con i noccioli”.

Con il tempo ha capito quanto avessero ragione a temerne l’avanzata sull’altopiano. Dalle pagine del quotidiano la Repubblica ha lanciato un appello ai governatori delle tre regioni, dicendosi “preoccupata” per le conseguenze della monocoltura delle nocciole sull’economia, sull’ambiente e sulle persone. “In pochi anni sarà stravolto il paesaggio e distrutta l’economia che sostiene questi luoghi. Per questo ho chiesto se siano stati fatti degli studi sull’impatto di una trasformazione così importante”, spiega.

Le risposte non sono state quelle sperate. “Non si affrontano certe questioni ponendo divieti alle coltivazioni”, ha detto Catiuscia Marini, che era stata eletta presidente dell’Umbria con il Partito democratico (Pd) e che si è dimessa per via di un’inchiesta su presunti concorsi truccati nella regione. Il governatore toscano Enrico Rossi – rientrato nel Pd dopo l’esperienza di Articolo 1 – ha interpretato la lettera come un “desiderio di ritorno al passato”. Mentre Nicola Zingaretti, presidente del Lazio e segretario nazionale del Pd, non è intervenuto nel dibattito. Tutte e tre le regioni hanno firmato accordi con la Ferrero per aumentare la produzione di nocciole.

Una rete comune
La trasformazione dell’Alfina è cominciata nel 2018, dopo la presentazione del progetto Nocciola Italia della Ferrero Hazelnut company, che prevede ventiduemila ettari di noccioleti in più in tutto il paese entro il 2025 e un aumento del 30 per cento della produzione. Per Emanuele La Barbera, un veterinario palermitano che credeva di aver trovato “un posto tranquillo” per produrre formaggi freschi di capra, la calma è finita il giorno in cui ha visto una ruspa dissodare un terreno vicino.

La Barbera ha scoperto che due imprenditori di Soriano nel Cimino, un paese del viterbese, avevano comprato duecento ettari di terre e le stavano spianando e recintando per trasformarle in noccioleti, con l’idea di vendere i frutti alla multinazionale piemontese con sede in Lussemburgo. Ha organizzato un’assemblea nella sua fattoria con una sessantina di agricoltori e allevatori della zona. Alla fine hanno dato vita a un comitato che hanno chiamato Quattro strade, come il crocevia dell’Alfina.

C’è una correlazione tra l’esposizione a erbicidi, insetticidi e fertilizzanti e l’aumento di alcune malattie

Insieme hanno organizzato proteste e presentato due esposti contro l’abbattimento di un “uliveto secolare” e la recinzione delle terre, considerata “abusiva”. Il 16 marzo 2019 hanno organizzato a Orvieto un convegno intitolato “I noccioli del problema”. La sala del Governatore del palazzo dei Sette era gremita al punto che hanno dovuto montare uno schermo nell’atrio. Sono arrivati i comitati della maremma toscana e dell’alta Tuscia viterbese – dove si concentra la maggior parte della produzione di nocciole in Italia – ambientalisti ed esperti, la scrittrice Susanna Tamaro e il regista statunitense Jonathan Nossiter. L’artista francese JR cercava soggetti per un’installazione tra i noccioleti dell’Alfina.

“C’è una correlazione tra l’esposizione a erbicidi, insetticidi e fertilizzanti e l’aumento di alcune malattie come i tumori del sangue, anche in età infantile”, ha detto la dottoressa Antonella Litta dell’associazione Medici per l’ambiente. Gabriele Antoniella del comitato Quattro strade ha spiegato che “saranno penalizzate quaranta aziende che hanno investito sull’altopiano puntando sulla qualità dei prodotti”. Tra loro, la fattoria di La Barbera e quella di Jacopo Battista, un agronomo romano che produce vino naturale, senza additivi chimici.

Il convegno ha reso visibile la protesta dei contadini dell’orvietano e del viterbese, che hanno incassato il sostegno di Slow food e sono entrati in contatto con altri lavoratori in Georgia e in Turchia. L’obiettivo, dice l’agroeconomo Andrea Ferrante, è “elaborare una strategia comune per non diventare schiavi delle nostre produzioni”. In seguito sette sindaci dell’area del lago di Bolsena hanno emesso ordinanze che vietano la coltura intensiva di nocciole nei loro comuni.

Per Jacopo Battista è “una battaglia complicata perché è difficile spiegare per quale ragione ci battiamo contro chi pianta alberi”. Per vincerla, a suo parere, bisognerebbe guardare a Bruxelles più che a Roma, mettendo in discussione i Piani di sviluppo rurale dell’Unione europea, che consentono di prendere finanziamenti per produzioni biologiche e dopo cinque anni di passare a colture tradizionali, guarda caso proprio i tempi di crescita di una pianta di nocciole.

“Se non ci fossero i contributi europei, chi convertirebbe i terreni in noccioleti, sapendo che queste piante non sono produttive se non dopo anni?”, dice. È quello che sta succedendo attorno alle Quattro strade, dove La Barbera teme che la proprietaria dei terreni che lui ha affittato possa cedere alle richieste degli imprenditori delle nocciole, vendendo i campi e costringendolo a smobilitare. La sua sintesi di quello che sta succedendo sull’Alfina è lapidaria: “Ci stanno togliendo la terra da sotto i piedi”.

Leggi anche:

Il gusto amaro delle nocciole. L’inchiesta di Stefano Liberti, nel nuovo numero di Internazionale.

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