08 giugno 2019 09:58

Nel 1992 avevo vent’anni, volevo fare lo scrittore e allora mi capitava di entrare in libreria e di rubare libri. Mi sentivo in diritto, era una sorta di borsa di studio che mi davo da solo, visto che di lì a poco ne avrei scritto di bellissimi anch’io. Per il momento, però, ero solo un maestro nel disattivare la fascetta magnetica contenuta all’interno dei volumi, che faceva suonare l’allarme all’uscita. Ci scrissi anche un breve saggio sotto pseudonimo. Per favore, non cercatelo su internet.

In Italia, da allora a oggi hanno chiuso moltissime librerie. A Roma, dal 2007 al 2017, hanno chiuso 223 “punti vendita trattanti libri”, secondo la Confcommercio. Una strage. Alcuni avevano nomi che a risentirli stringono il cuore: Croce, Fanucci, Remainders, Invito alla lettura, Amore e psiche, Fandango incontro, Flexi, Zalib, MelGiannino.

Ma cosa sta succedendo? Perché chiudono le librerie, soprattutto quelle piccole? Chi è il serial killer di quelle romane? Chi l’ha aiutato?

Primi indizi
Tra i primi sospettati ci sono le grandi catene tipo Mondadori e Feltrinelli, che negli anni novanta sono entrate nel mercato a gamba tesa. Grandi editori che tutt’oggi, unico caso in Europa, i libri li pubblicano, li distribuiscono, li vendono, e a volte se li leggono pure da soli.

I numeri parlano chiaro: le librerie a conduzione familiare in Italia erano 1.115 nel 2010. Nel 2016 erano 811. Mentre quelle che fanno parte di grandi gruppi sono aumentate: da 786 a 1.052.

Ma parlando con Carmelo Calì, ex libraio della libreria Pallotta a ponte Milvio, sembra proprio che le grandi catene non siano le uniche responsabili di questa strage. Negli ultimi anni si è creato un nuovo equilibrio e i librai di quartiere sono diventati consapevoli di offrire un servizio che le grandi librerie nemmeno se lo sognano. I piccoli librai, a differenza dei grandi, hanno il dono della parola. Chiacchierano, discutono, consigliano, organizzano eventi. Ti danno un tetto se piove, una tisana calda, un luogo dove incontrare gli amici, sentirsi a casa o in ufficio. Mettono le locandine degli eventi nei bagni.

Prendersela con le grosse catene sarebbe come arrestare il primo indiziato. Troppo facile

Le grandi catene magari riescono a stare dietro al meccanismo kamikaze delle nuove uscite (ci torno tra poco), ma non ai bisogni di socializzazione e di identificazione. È quello che mi dice anche Francesco Mecozzi della libreria Giufà a San Lorenzo: “Siamo ancora aperti perché ci siamo costruiti un’identità diversa”. E Alessandro Alessandroni di Altroquando aggiunge: “Le persone vengono da noi anche perché ci conoscono personalmente”.

Come per Carmelo Calì, anche secondo loro prendersela con le grosse catene sarebbe come arrestare il primo indiziato. Troppo facile. La vendita al dettaglio è in crisi in tutti i campi: dalla macelleria al negozio di scarpe. Nelle librerie questa tendenza ha avuto risultati ancora più funesti?

Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi dell’Associazione italiana editori (Aie), intervistato dall’Ansa dice di no. Anzi, dalla loro indagine risulterebbe che i librai hanno sofferto meno. E allora chi è il serial killer delle librerie?

Il ruolo di Amazon
Lo so che state pensando: Amazon. Volete leggere un articolo pieno di sangue, dove Amazon e internet si mangiano il mercato come Hannibal Lecter si mangia le persone. Con l’ebook nascosto nel buio che sferza l’ultimo colpo alla carotide del povero libraio.

È vero, più di un libro su cinque è stato venduto online nel 2017. È vero anche che l’azienda statunitense nel 2017 non ha pagato un dollario di tasse, approfittando della riforma fiscale voluta da Donald Trump; e che al contrario, in Italia gli editori le tasse le pagano eccome; e che ci sono molti sospetti sulle condizioni di lavoro dei dipendenti (è pieno di articoli). Ma anche Amazon, come le grandi catene, non ha il dono della parola, non te la fa la tisana e non mette locandine nei bagni, che ancora non ha (in futuro va’ a sapere). E vi assicuro che parlando con i piccoli librai romani, quasi nessuno mi è sembrato spaventato da questo mostro. Come mi spiega Francesco Mecozzi di Giufà: “Spesso non abbiamo il libro che stai cercando, mentre Amazon te lo porta a casa il giorno dopo. Mi chiedo però: se solo quattro italiani su dieci leggono un libro all’anno, ti pare che quel libro se lo devono leggere proprio domani mattina?”.

Christian Dellavedova

Amazon fa paura soprattutto alle librerie grandi. Barbara Pieralice è titolare insieme alla sorella Francesca della Nuova Europa, una delle indipendenti più di successo, che da 25 metri quadrati è passata a 400 dentro il centro commerciale I granai a Roma sud. Pieralice mi dice che le vendite sono in calo costante dal 2009 e il motivo numero uno, secondo lei, è proprio l’online. Si lamenta del fatto che in Germania e in Francia i governi limitano gli sconti applicati da Amazon, mentre in Italia l’azienda può farne quasi senza limiti.

Stefano Scanu, direttore responsabile della sede romana della catena Ibs+Libraccio – un posto enorme in via Nazionale – punta il dito su qualcos’altro. Per lui la vendita online sarebbe solo il secondo indiziato del calo di vendite. Al primo posto ci mette il calo dei lettori, ovvero, non ci sarebbe un singolo serial killer ma un’intera popolazione. In effetti i dati sono drammatici. Per citarne due: in Italia il 32,3 per cento dei laureati non legge nessun libro. E siamo all’ultimo posto in Europa sulle competenze di comprensione dei testi e di lettura, secondo l’ultimo rapporto dell’Aie. Abbiamo risolto il delitto perfetto?

Un sacco di patate
Nei primi anni novanta impazzava una polemica che oggi sembra ridicola: “Si possono vendere i libri al supermercato?”. Partecipai al dibattito inventando la “tecnica del sacco di patate”. Ovvero: metti un libro nel carrello e lo nascondi sotto un sacco di patate. Alla cassa nessuno ti chiede di spostare il sacco (pesa troppo) e così ti rubi il libro.

Secondo tutti i librai che ho intervistato, tra le ipotesi di omicidio spunterebbe anche quella dello scambio di persona. Il libro in Italia è scambiato per un sacco di patate. È tassato come un sacco di patate, venduto come un sacco di patate, proposto come un sacco di patate. Ma un libro non è un sacco di patate (salvo eccezioni) e le librerie, insieme alle scuole e alle biblioteche, sono l’ultima trincea a sostegno della lettura. Hanno una funzione culturale e strategica che non può essere ignorata.

Non a caso in Francia il ministero della cultura ha iscritto “le tradizioni e le conoscenze dei librai” nel patrimonio culturale immateriale. Un primo passo per proporli all’Unesco. E invece a Roma le librerie chiudono, come si seccano i prati delle ville lasciate all’incuria. Solo che a differenza dei prati, le librerie che chiudono non ricrescono più. E diventa normale, fisiologico, che al loro posto aprano un Compro oro, una rosticceria, un negozio che vende patate: qualsiasi tipo di attività rende il triplo di una libreria e può permettersi più facilmente di pagare l’affitto in centro e le tasse.

Ultimi sospetti
A detta di chi vive tra scaffali di libri, ci sarebbe un’ultima ipotesi per risolvere il caso. Alcuni librai pronunciano la parola sottovoce, ma la pronunciano spesso. La parola è: suicidio.

Nel 1980 le novità in libreria erano 13mila. Nel 2016, con lo stesso numero di lettori, 66mila. Una follia. Significa che i libri scompaiono dagli scaffali dopo due mesi, che le vendite medie per volume sono bassissime, e che è enorme il numero dei testi mandati al macero. Un’economia drogata dove il piccolo libraio è costretto a indebitarsi per anticipare l’acquisto delle novità – che non sa neanche dove mettere – e gli editori sono costretti a stampare tanto per stare al passo con la concorrenza e con le regole della grande distribuzione.

C’è poi la questione degli sconti. In Italia una legge del 2011 prevede che non possano superare il 15 per cento. Per raccontare i cavilli, i raggiri, le paraculate che portano ogni mese grandi editori e grandi catene a fregarsene e fare offerte che si mangiano letteralmente i più piccoli nella filiera, ci vorrebbe un altro articolo. Ma anche in questo caso, molte piccole librerie intraprendenti hanno trovato strategie di sopravvivenza come le “copie in deposito”, ovvero la possibilità di procurarsi i libri direttamente dall’editore, pagandoli solo una volta venduti.

E allora se non è neanche un suicidio, chi le ammazza le librerie? Muoiono di vecchiaia?

Il fattore stupidità
Credo che le librerie, come i libri, come le biciclette, come le gite al mare e gli adolescenti megalomani come me che rubano libri pensando di avere ragione, non moriranno mai di vecchiaia. Quello che ho capito in questa piccola indagine, è che non c’è un unico assassino. Le piccole librerie romane stanno morendo per un insieme di fattori. Sono bombardate da questi fattori. Arrivano fattori terra-aria, fattori a grappolo, fattori che pensi che sia una penna, la tocchi e ti esplodono in faccia.

E purtroppo in pochi le difendono, questo è il vero problema. Se vogliamo trovare un unico nemico direi che è sempre lo stesso, da anni, da secoli, il nemico dei libri e delle librerie. La stupidità.

Christian Dellavedova

Un caso esemplare è quello di Claudio Madau, 37 anni, libraio di Roma. È stato premiato dal presidente della repubblica Sergio Mattarella perché “esempio di civiltà”. È diventato una specie di eroe nazionale insieme ad altre 33 persone perché si è inventato “Dottor libro”: presentazioni di libri organizzate in ospedale.

Il 5 marzo scorso, quando gli hanno dato la medaglia – con la cerimonia, le telecamere dei tg e tutto il resto – chissà se hanno anche capito che la sua libreria, proprio accanto all’ospedale San Giovanni, ha chiuso da tempo. In due anni e mezzo di lavoro estenuante, senza aiuti, senza finanziamenti, hanno provato a vendere libri e a dare “esempi di civiltà”, ma non guadagnavano niente. E qui volevo inventarmi una bella battuta per sdrammatizzare la loro situazione, ma forse è meglio astenersi.

Il ruolo delle istituzioni
Il piccolo libraio resiste, parla con il cliente, lo fa tornare, compie il miracolo di appassionarlo alla lettura, gli prepara la tisana per anni, magari lo convince a non comprare su Amazon. Poi però, ogni sei mesi, deve pagare una tassa per la nettezza urbana di tremila euro all’anno, come succede alla libreria Tomo a San Lorenzo, che è grande ma lotta per esistere come tutte le altre. Oppure gli raddoppiano l’affitto, com’è successo alla libreria Spagnola, perché si trova in centro e i prezzi salgono alle stelle per il turismo. Oppure un giorno arrivano i vigili urbani, come è successo a Giufà, e ti fanno 300 euro di multa perché hai messo fuori una panchetta irregolare, come se fosse questa l’emergenza a San Lorenzo. Oppure oltre a farti la multa ti chiudono per cinque giorni, com’è capitato a Otherwise nel settembre 2018, per degli espositori messi all’entrata, dove secondo un regolamento del comune non dovevano stare.

Nel 2016 quaranta librai romani si sono riuniti in un consorzio, hanno discusso per ore, hanno partecipato a un bando e hanno vinto centomila euro. Tutti contenti hanno festeggiato e hanno fatto progetti. Ma i primi 30mila euro sono arrivati dopo due anni e mezzo. È passato così tanto tempo che nel frattempo alcuni di loro hanno chiuso. Ditemi voi se tutto questo non è molto stupido.

Alessandro Alessandroni, che è anche presidente dell’associazione italiana librai della Confcommercio di Roma, mi spiega che da anni stanno chiedendo alle istituzioni le stesse quattro-cinque cose: riduzione di alcune tasse – come quella sulla nettezza urbana, o quella sul consumo di energia elettrica, o quella per le insegne –, nuove regole per l’occupazione del suolo pubblico, una mappatura delle librerie di qualità (come fanno in Francia, dove sono sostenute sulla base di criteri meritocratici). C’è anche chi propone di costruire una rete con scuole e biblioteche pubbliche che potrebbero comprare i libri, per legge, esclusivamente dalle librerie di quartiere. Le idee sono tante e vengono tutte da persone competenti, con anni e anni di esperienza sul campo. La risposta delle istituzioni? Nessuna. Questa è una forma di eutanasia senza consenso.

Il futuro
Se le cose andranno avanti così le librerie di qualità moriranno tutte in pochi anni. Chi le sta tenendo aperte lo fa solo per passione, volontariato, disturbo della personalità, incoscienza. O perché pensa che vendendo libri quando muori vai in paradiso. Certi mesi i proprietari di Giufà guadagnano meno dei pochi dipendenti che hanno assunto, e molto spesso lavorano più ore. Lo stesso vale per quelli di Altroquando. C’è chi guadagna seicento euro al mese dopo quindici anni di attività. Molti librai romani puntano a pagare le spese e lo considerano già un miracolo.

Eppure le librerie romane non sono mai state così vive. Per sopravvivere si stanno inventando una nuova scena, delle nuove abitudini, hanno il sostegno di tanti cittadini.

La Pecora elettrica, a Centocelle, organizzava presentazioni di ogni genere che spostano la gente dal centro alla periferia. Lo scorso 25 aprile, durante la notte, gli hanno dato fuoco. E stavolta non è una metafora, è un fatto gravissimo. La cosa incredibile è che colleghi, cittadini, clienti e abitanti del quartiere hanno raccolto quasi 40mila euro in meno di un mese. Una mobilitazione dal basso, senza eguali.

Probabilmente sarebbe successo qualcosa di simile per Giufà, che mette in piedi decine di eventi straordinari ogni anno. O per Tuba, dove si sperimenta insieme alle femministe. Da Altroquando presentano riviste in inglese che pubblicano esordienti italocinesi. Il Giardino del mago ha dato inizio a una lettura di gruppo del Maestro e Margherita. Scripta manent ha portato dodici premi Strega a leggere i loro libri sul marciapiede. Sono tantissimi i progetti eccezionali e molti romani se li stanno prendendo a cuore.

Oggi so qual era il vero motivo per cui rubavo libri a vent’anni. Avere libri senza pagare è un po’ come voler crescere senza soffrire. Purtroppo non funziona. È una delle poche cose che non si possono imparare sui libri. Il punto è che forse vale anche per una città grande come Roma. Non si può essere così stupidi da non capire che crescere, cambiare, migliorare, diventare ancora più grandi non è possibile senza investire, sostenere, prendersi il rischio di scegliersi il futuro. E sostenere economicamente le librerie indipendenti sarebbe davvero un ottimo affare per tutti.

Poi un giorno mi beccarono. Avevo rubato Il barone rampante di Italo Calvino.

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