11 giugno 2020 12:57

A tredici anni Pete White era un ragazzo esile, senza barba né baffi, solo un po’ più alto dei suoi coetanei. Un pomeriggio di 37 anni fa aveva pedalato fino a Culver City, quartiere piuttosto agiato di Los Angeles. Mentre gironzolava per le strade, due poliziotti lo hanno fermato, gli hanno chiesto cosa ci facesse lì, poi lo hanno ammanettato e sbattuto nella volante. “La radio era accesa e ho sentito che stavano cercando un uomo per un furto in zona. Il sospettato aveva la barba, ma avevano preso me!”, ricorda White al telefono. Dopo una pausa aggiunge: “Sono nero”. E così spiega tutto.

Oggi White dirige il Los Angeles community action network (LA can), un’associazione che da anni chiede una riforma del dipartimento di polizia. Quell’ora e mezza con le mani legate sul sedile posteriore di una volante a Culver City è stata il suo primo contatto con le forze dell’ordine. “Da allora la relazione è solo peggiorata”, ride.

Le proteste che riempiono le strade della città californiana da quando è stato ucciso George Floyd sono ricche di testimonianze simili. “Faccio consegne a domicilio per un ristorante”, ha raccontato Sheridan, 29 anni, durante il corteo di domenica 7 giugno, “se devo andare in una zona ‘bene’ e non trovo subito l’indirizzo del cliente mi prende l’angoscia: quante volte è arrivata una pattuglia! Perdo ore di lavoro e non sai mai come va a finire”. Al suo fianco c’era Erika, una collega più grande di una decina d’anni, che sfilava con il pugno alzato: “Quando mio figlio esce non ho l’ansia che si faccia male cadendo dallo skate, come tutte le mamme del mondo. Ho paura che lo uccidano”.

“Sono stanca di essere fermata quando guido la mia macchina nuova e costosa: sono troppo nera per non averla rubata?”, ha aggiunto una ragazza su Hollywood Boulevard, mentre tra le mani stringeva un cartello con su scritto “Defund police”.

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La richiesta di tagliare i fondi o di ridurre i corpi di polizia (“defund police”, appunto) prende sempre più vigore tra chi in queste settimane è sceso in strada, persone che da una vita subiscono un accanimento dovuto a discriminazioni razziali. Tra il 2015 e il 2018, per esempio, a Los Angeles la metà delle macchine fermate dalla polizia erano guidate da neri. Peccato che questa comunità rappresenti solo il 9 per cento della popolazione della città.

La scorsa settimana, con megafoni e cartelli, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla casa del sindaco Eric Garcetti, perché i dipartimenti di polizia sono di competenza comunale negli Stati Uniti. Per alcuni giorni hanno urlato davanti al recinto coperto d’edera che pretendono un cambio di passo. Garcetti ha ascoltato. E il 3 giugno ha annunciato che destinerà 250 milioni a programmi di sostegno alla comunità nera. La notizia è che 150 milioni di questo fondo arriveranno da tagli al Los Angeles police department.

“È un primo passo, ma bisogna fare molto di più”, ha sintetizzato su Twitter Patrisse Cullors, tra i fondatori di Black lives matter (Blm). “Anche con questo taglio, il dipartimento di Los Angeles assorbe più del 50 per cento delle entrate del comune”, dice White. “È l’unica voce del budget che è sempre cresciuta negli anni, mentre diminuiscono i fondi per l’educazione, il sostegno al lavoro o il diritto alla casa”. Proprio quei settori che potrebbero aiutare la comunità nera, marginalizzata da un razzismo sistemico.

“Rimpinguare il dipartimento era un dogma in municipio. George Floyd l’ha cambiato”

Secondo i calcoli di People’s budget – un collettivo che propone un bilancio partecipato e raduna associazioni come LA can o Blm – in proporzione, se una famiglia spendesse i suoi soldi come fa il sindaco Eric Garcetti con quelli della città, ogni mese destinerebbe 177 dollari per la casa, 80 al trasporto e 1.831 dollari alle armi.

Tagliare 150 milioni a un dipartimento a cui ogni anno sono destinati 1,7 miliardi di dollari non è molto. Tra l’altro, meno di due mesi fa Garcetti aveva previsto di destinargli ancora più soldi (il sette per cento in più rispetto all’anno precedente). Ma comunque l’annuncio del sindaco è un’inversione di tendenza storica in una città che dagli anni novanta non ha fatto altro che concedere alla polizia più denaro, più poteri e più personale (oggi gli agenti sono circa diecimila).

Il Los Angeles Times ha titolato: “Rimpinguare il dipartimento era un dogma in municipio. George Floyd l’ha cambiato”. Fino al 25 maggio, sarebbe stato politicamente suicida ridurre il budget alle forze dell’ordine: mostrare il pugno duro contro il crimine porta voti anche in una città progressista come Los Angeles. Dopo l’omicidio di Minneapolis e le manifestazioni di queste settimane, sarebbe stato un suicidio non mostrare la minima attenzione per le voci che si levano dalla strada.

Un nodo politico
Los Angeles non è l’unica grande città americana dove gli attivisti sono riusciti a portare il tema del taglio dei fondi alla polizia al centro del dibattito politico. In molte zone del paese la pressione sugli amministratori locali è stata così forte che nel giro di pochi giorni sono state messe in discussione norme e legami tra politica e forze dell’ordine che sembravano inattaccabili.

Il caso più eclatante è quello di Minneapolis, dove il 7 giugno nove consiglieri comunali hanno proposto di sciogliere il dipartimento di polizia. Pur non dando dettagli sui tempi e sui provvedimenti concreti che vogliono adottare, i consiglieri hanno dichiarato che “stanno valutando i prossimi passi da fare per smantellare il dipartimento”. Era inevitabile che a spingersi più in avanti su questo tema fosse la città dove tutto è cominciato e dove il dibattito su una radicale riforma della polizia è in corso da anni, soprattutto a causa dei tanti abusi commessi dagli agenti, anche prima dell’omicidio di Floyd.

Come ci si poteva aspettare, la reazione dei sindacati di polizia e dei politici repubblicani – sostenuti dal presidente Donald Trump, che qualche giorno fa ha twittato “più soldi alla polizia” – è stata furiosa, e questo dà un’idea di come la questione della riforma delle forze dell’ordine potrebbe condizionare la politica locale nei prossimi mesi.

Un esempio è arrivato durante una manifestazione a Minneapolis a inizio giugno, quando gli attivisti per i diritti dei neri hanno affrontato il sindaco Jacob Frey (eletto con il Partito democratico), chiedendogli se fosse d’accordo con la proposta di ridurre i fondi destinati al dipartimento di polizia. “Deve darci una risposta chiara: sì o no?”, gli ha detto una delle leader della protesta. “Se la risposta è no, immaginatevi che combineremo l’anno prossimo”, ha aggiunto la donna rivolgendosi alla folla e ricordando che nel 2021 Frey si candiderà per la rielezione. “Non sono d’accordo con l’abolizione totale della polizia”, ha risposto Frey, sommerso dai fischi e dalle urla: “Vai a casa Jacob!”, “Vergognati!”. A quel punto il sindaco ha deciso di allontanarsi dalla manifestazione.

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Dinamiche simili stanno affiorando anche a Washington, la capitale del paese, dove il dibattito sul taglio dei fondi alla polizia va avanti da tempo ma negli ultimi giorni è finito al centro degli scontri tra democratici e repubblicani. A inizio giugno Janeese Lewis George, una politica afroamericana, ha vinto le primarie democratiche nel quarto distretto, una zona della città segnata da alti livelli di criminalità. George propone di ridurre i finanziamenti alla polizia per investire in programmi che puntino a ridurre il crimine. Ora il suo avversario repubblicano sta impostando la campagna elettorale cercando di dipingerla come una radicale che vuole smantellare la polizia.

A New York, le richieste di una riforma hanno messo in grande difficoltà il sindaco democratico Bill de Blasio. La repressione messa in atto dalla polizia dopo l’inizio delle proteste è stata tra le più violente del paese, e De Blasio è stato criticato per non aver denunciato tempestivamente gli abusi. In seguito ha cercato di aggiustare il tiro, ma si trova ancora in una posizione difficile, schiacciato tra le richieste del suo elettorato, in cui è decisivo il sostegno dei neri e degli ispanici, e il potere del dipartimento di polizia, che conta circa 40mila agenti. Qualche giorno fa, durante una conferenza stampa, il sindaco ha difeso la strategia adottata dalla polizia nel corso di quella che ha definito “una settimana lunga e complicata”, ma ha aggiunto che trasferirà una parte dei fondi destinati al dipartimento verso iniziative organizzate dai giovani e ai servizi sociali. Un risultato ancora più importante è arrivato il 9 giugno, quando i parlamentari dello stato hanno votato per cancellare una norma conosciuta come 50-a, che permetteva alla polizia di tenere segreti i documenti sugli abusi e le violazioni commessi dagli agenti. Questa norma, per esempio, ha impedito che si sapesse subito dell’omicidio di Eric Garner, morto nell’estate del 2014 dopo che un agente lo ha immobilizzato prendendolo per il collo.

La questione è molto sentita anche a Portland, in Oregon, una città abitata in grande maggioranza da bianchi e con una storia complicata di rapporti razziali. Jo Ann Hardesty, prima afroamericana a essere eletta in consiglio comunale, ha presentato una serie di modifiche al bilancio per eliminare due unità della polizia: quella che presta servizio sui trasporti pubblici e il Gun violence reduction team, creato anni fa per combattere le bande criminali. “Da tempo c’è bisogno di fare qualcosa per rendere le comunità più sicure e creare alternative all’intervento della polizia”, ha detto Hardesty.

Un approccio controproducente
“Tagliare i fondi è un buon principio, ma non è la pallottola d’argento che aggiusterà il sistema in un colpo solo”, afferma Joanna Shwarz che insegna alla facoltà di legge dell’università della California a Los Angeles e si occupa proprio delle violenze della polizia. “Abbiamo delegato troppo potere e troppe funzioni agli agenti: intervengono se qualcuno ha un problema mentale, seguono i casi di violenza domestica, portano i senzatetto nei rifugi. Li abbiamo messi nelle scuole e gli chiediamo di arrestare persone per crimini minori. Questi ruoli gli andrebbero tolti e andrebbero affidati a specialisti”. Persone come gli operatori di LA can e lo stesso White, che conferma: “In alcuni quartieri, il rapporto con le istituzioni è sempre mediato da un agente in divisa e armi”.

Il progressivo affidamento alle forze dell’ordine di compiti inediti e sempre più capillari – insieme a un approccio più duro contro la criminalità a partire dagli anni ottanta – ha fatto crescere a dismisura i corpi di polizia in tutti gli Stati Uniti. In alcune città i soldi che gli sono destinati sono una quota importante del bilancio comunale.

Questo nonostante molti studiosi abbiano dimostrato, dati alla mano, che nei quartieri con alti livelli di criminalità quest’approccio è stato controproducente: ha aperto la strada agli abusi delle forze dell’ordine e quindi ha fatto aumentare la sfiducia dei cittadini dei quartieri poveri – abitati in maggioranza da neri e ispanici – nei confronti delle istituzioni e della polizia.

Destinargli meno fondi e togliere competenze agli agenti per darle a operatori sociali più preparati (e disarmati) sono i pilastri di una riforma necessaria anche per Aaron Littman, avvocato specializzato negli abusi della polizia e professore all’università della California a Los Angeles. “Ma oltre a ridurre il potere e la grandezza dei dipartimenti, bisogna rendere gli agenti perseguibili per le loro azioni”, dice.

Per fare questo, spiega lo studioso, bisognerebbe agire sul piano civile e su quello penale. Per quanto riguarda il primo, “un buon inizio sarebbe evitare che per gli errori dei poliziotti paghino sempre le assicurazioni”. Mentre per il secondo “è ormai chiaro che bisogna abolire l’immunità qualificata”, dice Littman, riferendosi a un principio della giurisprudenza statunitense per cui un agente non è condannabile se non esiste un precedente chiaro con cui confrontare il suo delitto. È un gatto che si morde la coda: meno precedenti, meno condanne, meno precedenti. In questo senso, la decisione dei pubblici ministeri di Minneapolis di accusare Derek Chauvin di omicidio di secondo grado è un passo importante, che può cambiare le cose. “La riforma del sistema deve arrivare così, città dopo città, caso dopo caso”, sostiene Littman, che è convinto di assistere a un momento di svolta, sebbene si tratti solo delle prime battute.

Mentre le amministrazioni e le istituzioni locali fanno progressi impensabili fino a poche settimane fa, la politica nazionale sembra muoversi molto più lentamente. Questo ovviamente perché sia la Casa Bianca sia il senato sono controllati dai repubblicani, che difficilmente accetteranno un ridimensionamento del ruolo della polizia. Ma neanche i democratici sembrano disposti, almeno per ora, a fare proprie le richieste più radicali.

Qualche giorno fa i democratici del congresso hanno proposto una legge che, tra le altre cose, metterebbe al bando le prese al collo dei sospettati e creerebbe un registro nazionale degli agenti accusati di aver commesso abusi, in modo che non possano facilmente trovare lavoro altrove. È una legge che difficilmente accontenterà le migliaia di persone che stanno protestando in questi giorni. Inoltre Joe Biden, il candidato democratico alle presidenziali di novembre, ha fatto sapere di essere contrario al taglio dei fondi alla polizia, mentre il senatore Bernie Sanders, rappresentante dell’ala radicale del partito, ha detto che non sostiene l’idea di smantellare i dipartimenti. Il presidente Donald Trump, che sta già impostando la sua campagna elettorale sul mantenimento dell’ordine e sulla criminalizzazione della protesta, cercherà di sfruttare queste spaccature per dividere l’elettorato progressista.

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