25 marzo 2019 10:09

Al Giambellino c’è un’emergenza abitativa che fatica a trovare ascolto. Eppure, la crisi che coinvolge il quartiere nella periferia sudovest di Milano e le proposte per affrontarla sono una spia di quello che succede in molte periferie italiane.

Ecco, in breve, come stanno le cose: qui migliaia di persone sono in graduatoria per avere accesso alle case popolari, ma queste abitazioni non vengono assegnate. Su 2.667 alloggi, più di 900 sono vuoti. Circa la metà è stata occupata. Per tutta risposta, la scorsa estate la regione Lombardia, guidata da Attilio Fontana della Lega, ha chiesto l’intervento dell’esercito.

Al Giambellino vivono più di cinquantamila persone. Secondo l’ultimo censimento del comune, una su due non è proprietaria del posto in cui vive, mentre il 25,7 per cento degli abitanti è straniero. Questi sono alcuni numeri che riguardano il quartiere, ma i numeri non bastano a raccontare la realtà. Bisogna andarci.

Per le strade
Quello che ci si trova spesso davanti sono cancelli chiusi e palazzi con porte e finestre sprangate. Gli edifici cadono a pezzi. La manutenzione spetterebbe all’ente regionale Azienda lombarda edilizia residenziale Milano (Aler), ma non sembra in cima alle sue priorità.

Il fatto è che dal 2009 i suoi bilanci sono andati sempre peggio, il contributo pubblico è diminuito e molte famiglie, a causa della crisi, non sono più riuscite a pagare gli affitti. Il rosso nei conti è stato poi alimentato da sprechi e fondi mai usati ed è diventato così grande che nel 2013 la regione ha deciso di commissariare l’Aler. Gli effetti si vedono sulle facciate dei palazzi di cui si dovrebbe occupare.

In via dei Sanniti c’è un edificio popolare con una ventina di appartamenti vuoti, sprangati. L’Aler ha distrutto i sanitari e le tubature per impedire le occupazioni. “Non impiegano soldi per sistemare i palazzi, ma spendono migliaia di euro per gli sgomberi”, spiegano gli attivisti del comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio, che preferiscono parlare con una voce collettiva, anziché singolarmente. “È in atto un processo di dismissione dell’edilizia popolare. Non solo non sistemano le case, ma fanno in modo che chi le abita se ne vada”.

Alla domanda su quante ristrutturazioni siano state fatte finora, l’Aler risponde che “dal 2018 sono state ristrutturate 79 abitazioni”: 79 su più di 900 appartamenti in condizioni pessime.

Tanti qui ripetono che lo stato è assente. Alle elezioni del 4 marzo 2018 l’astensionismo ha superato il 50 per cento, tra i più alti a Milano. Quando una qualche forma di istituzione si manifesta, per alcuni sono più guai che aiuti. Lo scorso dicembre, nove ragazzi del comitato sono stati arrestati, accusati di associazione per delinquere. Aiutavano famiglie in difficoltà a occupare case popolari vuote da anni. “Abbiamo costruito un percorso di solidarietà tra abitanti, occupandoci di aspetti che riguardano la vita in un quartiere abbandonato”, spiegano dal comitato. “Gli spazi abbandonati, spesso volutamente, sono tanti: noi ci siamo rimboccati le maniche e gli abbiamo ridato vita”.

L’approccio verso le occupazioni abusive è sempre stato repressivo

Nato nel 2013, il comitato ha creato degli orti condivisi, ha organizzato corsi di lingua italiana e un doposcuola, ha dato vita a una mensa, ha distribuito cibo a chi ne ha bisogno, ha aperto sportelli legali e un consultorio. Nel tempo è diventato un punto di riferimento in un quartiere che non ne ha, ma anche una fonte di servizi per le famiglie in difficoltà. Gli sgomberi recenti, avvenuti nel febbraio 2019 e nel dicembre 2018, hanno cancellato gran parte degli spazi creati finora, frequentati da centinaia di persone.

“Questo attivismo di tipo sociale con impronta solidaristica viene letto dall’accusa solo in funzione criminale”, spiegano gli avvocati degli imputati. Dalle carte della magistratura emerge che le case occupate al centro dell’inchiesta non erano assegnabili, richiedevano manutenzione. Si tratta di qualche decina di appartamenti, a fronte di altre centinaia vuote e dimenticate da chi dovrebbe sistemarle.

Gli attivisti riconoscono l’illegalità dell’operazione, ma sottolineano l’esasperazione abitativa che li ha portati ad agire in questo modo. Tuttavia, l’accusa esclude il fine solidaristico e propende per l’intento ideologico-sovversivo.

Accordi non mantenuti
Tra gli spazi in cui ragazze e ragazzi del comitato hanno dato una mano c’è il civico 181 di via Lorenteggio. Un blocco di edifici decadenti, dove vivono una trentina di famiglie, alcune in maniera regolare, altre da occupanti. Alcuni ingressi sono stati murati e Aler ha tolto la corrente e il riscaldamento. Negli ultimi mesi ci sono stati vari sgomberi. Il comitato e altre associazioni sono venuti e vengono a sostenere chi ci vive e fanno anche alcuni lavori di manutenzione.

Un edificio è stato abbattuto, e la stessa sorte toccherà ad altri. Così è previsto dal “Masterplan” elaborato dall’Aler, dal comune e dalla regione: un progetto di riqualificazione da novanta milioni di euro, sessanta dei quali arrivano da fondi europei. I lavori però sono in ritardo. Il presidente dell’Aler, Angelo Sala, punta il dito contro quelli che definisce “abusivi”: “La loro presenza ha sicuramente creato dei problemi. Ci attiveremo per la demolizione delle scale, renderemo inagibili gli edifici, costruiremo una recinzione di tre metri intorno all’area e inseriremo un servizio di guardiania armata 24/24”.

Milano, 20 gennaio 2019. Sostenitori dell’Ardita Giambellino, squadra popolare dilettantistica di calcio del quartiere vicina al comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio. (Andrea Kunkl)

Nel 2017 l’Aler, il comune e la regione hanno firmato con i sindacati un protocollo per gestire il trasferimento degli inquilini dei palazzi coinvolti nei lavori. Alcuni di loro vivevano in appartamenti occupati e l’accordo prevedeva la possibilità di regolarizzazione per le famiglie più in difficoltà, ma finora gli unici interventi sono stati gli sgomberi. I sindacati hanno ritirato simbolicamente la propria firma.

Nel dicembre scorso il comitato ha contato cinque incendi nei palazzi gestiti dall’Azienda lombarda edilizia residenziale. “I responsabili Aler, arrivati tardi, di fronte all’esigenza di ricollocare le famiglie fanno spallucce. Non è un problema loro, come se non fosse loro la casa che brucia”, ha scritto Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali, salute e diritti del comune di Milano. Secondo Majorino, l’amministrazione è stata lasciata sola a occuparsi di questa emergenza: “La regione resta a guardare, immobile, come la mucca che guarda il treno. Peccato che di questo treno che sta deragliando, di quei carrozzoni che sono le case popolari Aler, sarebbero loro i macchinisti”.

Tra gli abitanti c’è chi sospetta che i roghi siano stati dolosi, appiccati per sgomberare i palazzi. “L’approccio verso le occupazioni abusive è sempre stato repressivo e non si è mai andati a vedere le singole situazioni familiari, per dare una possibilità a chi è più in difficoltà di regolarizzare la propria situazione”, dice Bruno Cattoli, del sindacato Unione inquilini. Lo spostamento delle famiglie dovrebbe essere concordato e partecipato, spiega, la priorità dovrebbe essere il trasferimento nello stesso quartiere, così da evitare “espulsioni” e la rottura di rapporti sociali e umani. Ma al Giambellino tutto questo non sembra avere molto peso.

Speculazioni
Nel quartiere si specchia una crisi nazionale. In Italia ci sono due milioni di appartamenti sfitti e 650mila famiglie iscritte da anni alle graduatorie per un alloggio di residenza pubblica. Secondo l’Eurostat, il 9 per cento della popolazione e il 14 per cento dei minori fanno i conti con una condizione di “disagio abitativo grave”. A Milano sono diecimila le case popolari non assegnate e 23mila le famiglie in graduatoria.

Parallelamente, spesso le periferie sono al centro di operazioni immobiliari ed edilizie che non tengono molto conto di chi ci abita. Nel 2023 al Giambellino arriverà la metropolitana, realizzata da M4, la società per azioni di cui il comune di Milano è il socio di maggioranza. Alcuni edifici popolari sono stati già abbattuti, e i terreni su cui sorgevano sono stati venduti all’azienda che sta costruendo la metro. “C’è senza dubbio una speculazione”, spiega Cattoli. “Nei vari progetti di riqualificazione si parla di edilizia sociale, che però può voler dire tutto e niente. Per esempio, a volta abbattere e ricostruire può servire a mandar via gli inquilini vecchi e ad attirarne di nuovi”.

Le associazioni attive al Giambellino si oppongono. “Ci dipingono come sovversivi, ma quando eravamo in piazza gli abitanti del quartiere si sono uniti a noi, consapevoli di quello che stanno facendo le istituzioni”, spiegano dal comitato abitanti Giambellino-Lorenteggio. E accusano: “Qui l’unico volto che ha lo stato è quello della repressione”.

Gli attivisti vorrebbero che le case fossero assegnate così come sono alle famiglie in graduatoria. “Anziché spendere soldi negli sgomberi, si potrebbero assegnare le case a chi è in lista, dando poi la possibilità agli inquilini di ristrutturarle”, spiegano. “Non costerebbe nulla, ma al comune, all’Aler e alla regione sembra non interessare. Le case vuote creano più profitti, giustificano l’abbattimento dei palazzi e la conseguente riqualificazione. Non c’è una tutela delle esigenze delle persone ma pura e semplice speculazione”.

Sull’uscio di una casa popolare in via Giambellino c’è Mario, novant’anni. È nato e cresciuto qui, ma non sa per quanto ancora ci resterà. “Il progetto di riqualificazione complessiva”, fa sapere l’Aler, “dovrebbe garantire a regime 329 nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica”. A Mario nessuno ha ancora detto se il suo sarà ristrutturato, o abbattuto e ricostruito. Una situazione simile a quella di tante altre persone anziane: un terzo degli abitanti dei palazzi coinvolti nel progetto ha infatti più di 65 anni.

“Un tempo qui era un paradiso”, dice Mario. “Oggi è un cimitero di case vuote e dismesse. Le vittime di queste speculazioni saremo noi”.

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