Il 7 maggio la giunta militare al potere in Mali ha vietato “fino a nuovo ordine” le attività dei partiti, invocando “motivi di sicurezza”.

“Le attività dei partiti sono sospese in tutto il paese per motivi di sicurezza, fino a nuovo ordine”, si legge in un decreto firmato dal capo della giunta, il generale Assimi Goita.

“Il provvedimento si applica anche alle associazioni che svolgono attività di natura politica”, prosegue il decreto.

Il divieto arriva dopo che una nuova coalizione dell’opposizione aveva indetto per il 9 maggio una manifestazione per denunciare il possibile scioglimento dei partiti e chiedere il ritorno all’ordine costituzionale.

È un chiaro segnale della repressione in corso in Mali, un paese dell’Africa occidentale governato dai militari dopo i due colpi di stato del 2020 e del 2021.

Il 30 aprile la giunta aveva annunciato l’abrogazione della legge che regola il funzionamento dei partiti, una decisione in cui alcuni giuristi avevano visto un primo passo verso il loro scioglimento.

I partiti avevano reagito formando una coalizione e chiedendo “la fine della transizione politico-militare entro il 31 dicembre 2025, in vista di un rapido ritorno dell’ordine costituzionale”.

Il 3 maggio centinaia di persone avevano partecipato a una manifestazione nella capitale Bamako, in un raro atto di protesta contro la giunta militare.

“Viva la democrazia, abbasso la dittatura”, avevano gridato.

Niente elezioni

Nel 2024 le autorità maliane avevano già sospeso le attività dei partiti per tre mesi.

Alla fine di aprile una consultazione nazionale organizzata dal regime a Bamako, e boicottata dall’opposizione, aveva raccomandato l’abolizione dei partiti.

La consultazione aveva anche proposto di nominare Goita presidente per un mandato quinquennale rinnovabile, senza passare per le urne.

Dal 2012 il Mali deve affrontare la violenza dei gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda e allo Stato islamico.