14 agosto 2018 12:42

In Italia periodicamente si torna a parlare di spread, la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani a dieci anni (Btp) e quelli tedeschi (Bund). Fino al 2008 è stato un indicatore usato soprattutto dagli specialisti dei mercati. Con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers e l’inizio della crisi economica internazionale, il termine è entrato nel linguaggio della politica e dei mezzi di informazione.

La crisi aveva colpito duramente la Grecia e la Spagna, e presto le difficoltà finanziarie hanno toccato anche l’Italia. Nell’estate del 2011 lo spread italiano superò quota 200 punti base (nel 2008 era stato intorno ai 70). In quelle settimane il governo di Silvio Berlusconi lavorava alla manovra finanziaria. L’8 novembre 2011, il voto sul rendiconto di bilancio certificò che il governo non aveva più la maggioranza. Lo spread toccò 574 punti base. Il 9 novembre Berlusconi si dimise e fu sostituito da Mario Monti.

Durante il suo governo l’indicatore è sceso, si è dimezzato durante quello guidato da Gianni Letta, ha toccato 194 punti durante quello di Matteo Renzi, 144 durante quello di Paolo Gentiloni e 115 nel periodo delle elezioni del 4 marzo scorso.

Negli ultimi mesi è risalito, tanto da far dire al sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti, esponente di punta della Lega: “I mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono”. La preda sarebbe l’Italia. Tuttavia, il ministro del lavoro e dello sviluppo economico del M5s Luigi Di Maio ha dichiarato: “Non credo che avremo un attacco speculativo: è solo una speranza delle opposizioni. Non siamo ricattabili”.

Ma cos’è di preciso lo spread e perché il suo aumento è considerato un problema?

Lo spread
È una parola inglese usata per indicare la differenza di rendimento tra i titoli. In questo caso indica la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani a dieci anni (Btp) e quelli tedeschi (Bund), i titoli considerati più affidabili dai mercati.

Lo spread, in sostanza, indica quanti interessi in più paga lo stato italiano rispetto a quello tedesco e quindi indica la fiducia degli investitori nella stabilità di un sistema bancario ed economico.

Qual è il suo impatto
Con un debito pubblico di oltre duemila miliardi di euro, l’Italia è dipendente dai suoi creditori. Se sui mercati si diffonde la convinzione che l’economia del paese non cresce o che il suo debito pubblico diventi sempre più insostenibile, allora lo spread può salire perché gli investitori chiedono interessi più alti per prestare soldi al governo.

Se sale lo spread, lo stato dovrà spendere di più per ripagare il suo debito. Se sale lo spread, inoltre, di solito possono aumentare anche i tassi d’interesse dei prestiti bancari alle imprese e il tasso dei mutui, oltre che i tassi dei crediti al consumo.

Il costo dei prestiti in passato ha avuto forti ripercussioni sulla crescita del paese. Nel corso del 2011 – proprio a causa dello spread – le aziende italiane subirono in un anno una crescita del costo del debito a breve termine di circa 80 punti base. Nel 2011 le aziende italiane hanno pagato 15 miliardi di euro in più di interessi sul debito ed è stato più difficile per gli imprenditori ottenere prestiti dalle banche. Oggi la situazione italiana è più stabile, perché dal 2015 la Banca centrale europea, guidata da Mario Draghi, immette liquidità nel sistema attraverso il programma quantitative easing (l’acquisto massiccio di titoli sul mercato) e perché l’Italia ha registrato una crescita economica.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it