12 maggio 2019 09:59

Il soggetto imprevisto-1978. Arte e femminismo in Italia è una mostra che documenta la produzione di artiste, fotografe, performer, critiche, curatrici e storiche dell’arte femministe attive intorno a quell’anno nodale che fu il 1978.

Era l’anno dell’approvazione della legge 194, quella che depenalizzava e regolamentava l’interruzione di gravidanza, ed era anche l’anno della mostra Materializzazione del linguaggio alla 37esima Biennale di Venezia. La rassegna, curata da Mirella Bentivoglio, raccoglieva il lavoro di ottanta artiste femministe che rivendicavano un loro spazio in un ecosistema maschilista come quello dell’arte contemporanea. Era anche l’anno del rapimento Moro, delle dimissioni del presidente della repubblica Giovanni Leone e del brevissimo pontificato di papa Luciani. Un periodo convulso della storia del paese, di profonde e traumatiche trasformazioni che liberavano anche una grande quantità di energie creative.

Le opere e i documenti raccolti in questa mostra ci raccontano il femminismo di quegli anni come una galassia di collettivi che elaboravano e sperimentavano pratiche e politiche femministe un po’ in tutt’Italia. Artiste, intellettuali, cineaste, giornaliste e fotografe formavano una rete che, in quegli anni di grandi vittorie civili per il movimento, era riuscita a innervare il dibattito pubblico e a ottenere una visibilità mai avuta prima.

Le femministe irrompono sulla scena artistica e politica italiana proprio come un “soggetto imprevisto”. L’espressione che dà il titolo alla mostra è della scrittrice e critica d’arte Carla Lonzi: da oggetto le donne diventano soggetto e rifiutano il ruolo che è stato imposto loro dalla società patriarcale.

A sinistra: AM – (ti amo), 1970 (Mirella Bentivoglio). A destra: Tenere pantomime, 1976 (Renate Bertlmann). (Per gentile concessione del Mart e della collezione Dionisio Gavagnin)

Ma come ci si trasforma da oggetto in soggetto? Come si esce da una gabbia sociale che ti vuole, se non tumulata in cucina a vita, comunque sottopagata, sottovalutata e sottomessa? Come ci si trasforma da moglie di, amante di, musa di, in artista?
La risposta delle oltre cento artiste in mostra è una: attraverso l’immaginazione e la reinvenzione di sé. L’atto profondamente sovversivo delle artiste femministe è quello di capovolgere le aspettative e ricostruire un io diverso da quello imposto.

Il merito della mostra curata da Raffaella Perna e Marco Scotini è quello di trovare il filo che accomuna l’esperienza di artiste diverse tra loro come Carla Accardi e Carolee Schneemann, Gina Pane e Giosetta Fioroni. Il filo che lega i loro lavori è quello del femminismo come sperimentazione permanente. Come messa in discussione e reinvenzione continua del linguaggio.

Il primo mezzo per presentarsi come soggetto e non più come oggetto è quello di inventarsi una lingua nuova. Tutte le artiste in questa mostra, dalle performer alle pittrici, dalle poete alle fotografe, sono in cerca di una lingua nuova per raccontarsi. E per trasformarsi.

La correttezza linguistica richiesta a gran voce dalle femministe di oggi non è un vezzo o una sfumatura esoterica del politically correct. Il lavoro di queste artiste, soprattutto rivisto a distanza di quarant’anni, racconta che la prima gabbia che intrappola le donne è il linguaggio. E sul linguaggio, oltre che sulla mobilitazione politica e civile, continuano a lavorare oggi le donne di Non una di meno.
La sperimentazione è quindi un atto più che dimostrativo: è un atto vitale, una questione di sopravvivenza.

Miss… in posa, 1971. La foto dell’opera è di Andrea Chemelli. (Tomaso Binga, Per gentile concessione dell'artista e di Frittelli arte contemporanea)

L’altro polo intorno a cui si concentra il lavoro delle artiste femministe è il corpo. Il corpo delle donne come terreno di conquista e come campo di battaglia da riconquistare centimetro per centimetro. Dalle performance autolesioniste di Gina Pane e Marina Abramović all’alfabeto stilizzato di Tomaso Binga (pseudonimo di Bianca Pucciarelli), le artiste femministe cercano un modo nuovo di rappresentare il proprio corpo, sottraendolo a quella eterna alterità artista (maschio)/modella (femmina).

Quando il critico e antropologo francese Michel Leiris, parlando di Picasso nel 1960, accomunava, con una punta di complicità maschile, il suo sguardo predatorio puntato sulla modella a quello del picador che cerca il punto debole del toro, non immaginava che un giorno il toro avrebbe potuto alzare la testa e capovolgere il gioco; e la modella raccogliere i suoi vestiti e andarsene fuori a fare altro.

La mostra Il soggetto imprevisto-1978. Arte e femminismo in Italia, è aperta al FM Centro per l’arte contemporanea fino al 26 maggio.

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