The Carters, Apeshit
Ok, abbiamo capito. Jay-Z e Beyoncé hanno fatto pace e sono molto innamorati, ricchi e famosi. Ma devono continuare a ripetercelo per l’eternità e a trasformare ogni loro vicenda coniugale in un disco? Anzi in tre dischi, perché la storia di Everything is love è cominciata nel 2016 con Lemonade (il disco in cui Beyoncé affrontava molti temi, tra i quali il tradimento del marito), ed è proseguito con 4:44 di Jay-Z (nel quale il rapper faceva mea culpa). Ora siamo arrivati all’ultimo capitolo e possiamo dirlo: se ne poteva fare a meno. A parte Lemonade, che era un disco apprezzabile anche da un punto di vista simbolico e politico, musicalmente non ci abbiamo guadagnato molto. E l’impressione è che i due cantanti abbiano sfruttato tutta la situazione con un po’ di cinismo.
Everything is love è molto più vicino all’hip hop che all’rnb, come ha fatto notare Alexis Petridis nella recensione del Guardian che abbiamo pubblicato questa settimana su Internazionale. E mette alla prova le abilità da rapper di Beyoncé, che ne esce a testa altissima. Il problema è che molti di questi brani sono più che altro un esercizio di stile. Un esempio? Nel singolo Apeshit, nel quale ci sono anche i Migos (che in realtà non fanno quasi niente, a parte qualche “skrt skrt” in sottofondo), Beyoncé, con la voce satura di autotune, ci racconta per filo e per segno quanto sono bravi lei e suo marito, sfoderando un flow niente male. Il pezzo però è senza mordente, non lascia il segno.
Questo vale per tanti altri brani dell’album. Insomma, Everything is love non è un granché. Le uniche due canzoni interessanti sono la prima e l’ultima, Summer e Lovehappy, dove guardacaso Beyoncé canta. Per il resto si sbadiglia. Forse la mia è solo invidia sociale? Può darsi. Del resto come si fa a non essere invidiosi di due persone che possono permettersi di affittare il Louvre per girare un videoclip?
Kamasi Washington, Can you hear him
Stavolta Kamasi Washington si è contenuto. Dopo il monumentale album triplo The epic ha pubblicato un disco che è “solo” doppio. Se vi è piaciuto il precedente, apprezzerete anche questo. Se The epic non vi ha convinto, statene alla larga.
Il jazz old school un po’ nostalgico che finora ha fatto la fortuna del sassofonista di Los Angeles non è cambiato di una virgola. E quindi ecco gli omaggi a John Coltrane, a Sun Ra, a Herbie Hancock ma anche a nomi meno noti come Horace Tapscott. Ecco le lunghe fughe strumentali e le virate verso il funk e il soul. Tutti riferimenti che possono suonare un po’ scontati per un purista del jazz, ma che invece funzionano a meraviglia per chi (come me) di solito frequenta altri generi.
Dopo i primi ascolti alcuni brani del nuovo lavoro, intitolato Heaven and hearth, mi hanno già colpito molto. Per esempio Can you hear me, un viaggio cosmico di quasi nove minuti reso possibile da una sezione ritmica poderosa, da un lungo assolo di sintetizzatore e ovviamente dal sassofono di Washington. Al fianco di Kamasi ci sono le solite band di fiducia, i Next Step e i West Coast Get Down.
Heaven and earth, rispetto a The epic, è ancora più ricco di riferimenti pop (l’iniziale Fists of fury riprende la colonna sonora del film Dalla Cina con furore) e all’attualità (i testi delle poche parti cantate sembrano usciti da una manifestazione del movimento Black lives matter). Kamasi Washington sa come superare gli steccati del jazz. Alcuni potrebbero considerarlo un furbacchione (molti puristi del jazz lo fanno), ma la sua musica resta ricca di vitalità e poesia.
Karol Conka, Cabeça de nego
[Sabotage](https://pt.wikipedia.org/wiki/Sabotage_(cantor), nome d’arte di Mauro Mateus dos Santos, è considerato uno dei più grandi rapper brasiliani di tutti i tempi, se non il più grande. Cresciuto nel quartiere di Brooklyn, a São Paulo, è morto nel 2003, a soli 29 anni, dopo che un uomo (non è mai stato identificato) gli ha sparato. Sabotage ha pubblicato solo tre dischi, Supervisionando a sociedade, Rap é compromisso!, e Sabotage, uscito postumo nel 2016, ma ha lasciato un segno profondo nella musica brasiliana.
La rapper di Curitiba Karol Conka ha deciso di omaggiare Sabotage con una cover del suo brano Cabeça de nego. Nel video compaiono i figli del rapper e il pezzo è prodotto da Instituto e Boss in Drama, che avevano collaborato alla versione originale.
Achille Lauro, BVLGARI
Il 22 giugno è uscito il nuovo disco di uno dei rapper più interessanti della scena italiana: Achille Lauro. Il suo merito principale nel 2018 è quello di aver remixato Thoiry di Quentin40, rendendolo uno dei pezzi italiani dell’anno.
Il disco, che s’intitola Pour l’amour, è un concentrato di edonismo in salsa “samba trap”, se vogliamo usare l’etichetta che lo stesso Achille Lauro ha scelto per descrivere la sua musica. È un rap diverso dalla trap che va di moda adesso nel nostro paese, che vira spesso verso l’elettronica e la musica latina. Pour l’amour è divertente, vario e arrangiato in modo impeccabile (molto del merito va al produttore Boss Doms).
L’album si apre con Angelo blu un brano scritto insieme a Cosmo, tra una citazione di Breaking bad e una di Gigi D’Agostino (L’amour toujour). E poi c’è Thoiry, canzone di Quentin40 remixata da Achille Lauro e Boss Doms e trasformata in un tormentone irresistibile. Un altro pezzo molto divertente è BVLGARI, con quei tamburi un po’ marziali e un testo che sarebbe simpatico cantare a Matteo Salvini.
Underworld & Iggy Pop, I’ll see big
Sembra che gli Underworld abbiano avuto una buona idea. Il gruppo britannico durante la lavorazione del film di Danny Boyle T2 Trainspotting ha incontrato Iggy Pop e l’ha convinto a prestare la voce a una serie di brani a cui stavano lavorando. L’ep s’intitola Teatime dub encounters e uscirà il 27 giugno. Finora sono stati pubblicati solo due pezzi (in tutto sono quattro). Il mio preferito è I’ll see big, nel quale Iggy ragiona a voce alta sul ruolo che hanno avuto gli amici nella sua vita, mentre in sottofondo va avanti un tappeto ambient. Quasi mi scende la lacrimuccia.
P.S. Playlist aggiornata! Per chi ha la versione gratuita di Spotify, però, niente Carters.
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