12 luglio 2017 16:38

Gentile bibliopatologo,
a quasi quarant’anni mi ritrovo ad avere una cotta per uno scrittore. All’inizio le sue presentazioni non mi dicevano quasi nulla ma il suo ultimo libro ha cambiato le carte in tavola. E pensare che in passato non mi sono mai innamorata del bagnino o del dj. Insomma non ho mai avuto la sindrome della “pupa del boss”. Ora, come una teenager, lo seguo ovunque e guardo spesso i suoi video su YouTube. Il problema è che in nessuno dei suoi libri ci sono riferimenti sessuali o erotici, quindi non ho alcun appiglio per provare a sedurlo ed eventualmente concupirlo. Cosa mi consiglia?
–Falling In Read

Cara Falling In Read,
deduco che non ti sei innamorata di Michel Houellebecq. Ma sei sicura che un letterato possa capitolare con un corteggiamento letterario? Non te lo dico in nome di quella stupida saggezza popolare che si elide da sola (gli opposti si attraggono e chi si somiglia si piglia: bella roba, così son bravi tutti), parlo semmai della scelta degli strumenti di seduzione. Ma forse è bene che prima ti racconti la miseranda storia del corteggiamento temerario in cui mi lanciai molti anni fa, e che segnò da allora le mie idee in materia.

Mi ero preso una cotta per una ragazza che non mi considerava molto, diciamo che mi guardava con la stessa lussuria con cui avrebbe guardato una grossa lampada da terra. In compenso nutriva una passione adolescenziale per uno scrittore, Javier Marías, e nei suoi sogni da groupie fantasticava perfino di sposarlo (e io che ero rimasto a Sposerò Simon Le Bon!). Avevo come vedi poche carte da giocare, ma mai perdersi d’animo. Così in un lampo d’ispirazione romantica mi dissi: benissimo, se lei ama Javier Marías, diventerò Javier Marías. Bello, vero? Il problema è quando si deve dar seguito a queste alzate d’ingegno.

La macchinazione coinvolgeva il buon nome di questa rivista, ma dopo tanti anni penso di poter considerare il crimine prescritto, e comunque mi affido alla clemenza del direttore. “A volte su Internazionale pubblichiamo degli articoli di Marías”, le dissi, “l’altro giorno ne ho ripescato uno magnifico che però la redazione aveva scartato, se vuoi posso tradurlo per te”. L’idea smosse un poco la sua regale indifferenza: ero passato quanto meno dallo stadio “lampada da terra” a quello “pianta di ficus ornamentale”, insomma dall’inanimato al vegetale. Ed è qui che entrò in azione il falsario. Lessi tutto quel che potevo di Marías, per cacciarmi in testa la musica della sua prosa, e composi un lungo racconto-reportage apocrifo sulla festa catalana di Sant Jordi, dove gli innamorati si scambiano libri e rose. Una finta traduzione di un articolo inesistente. Fonte: La Vanguardia, 23 aprile 2004.

Ammetto, volli strafare. Non solo il mio centone conteneva note a piè di pagina che spiegavano intraducibili giochi di parole tra il castigliano e il catalano, ma era infarcito di autoallegorie, mise-en-abîme e fuochi d’artificio manieristici e barocchi. Lo pseudo-Marías raccontava la sua prima fiera di Sant Jordi, quando, ventenne, aveva tentato di sedurre una ragazza regalandole un libro del suo poeta preferito, Miguel Hernández, e aveva anche scritto per lei un falso sonetto d’amore di Hernández che conteneva un ingegnoso acrostico: leggendo la prima lettera di tutti i versi ne veniva fuori una dedica.

Nella seconda parte di quelle finte memorie, Marías, ormai scrittore affermato, tornava alla fiera per presentare un libro e firmare dediche. Ma una donnina buffa e misteriosa gli si faceva sotto sostenendo una teoria paranoica secondo cui l’intera sua opera non era che un plagio, insomma Marías era un truffatore e un usurpatore. La donna sbatteva sul banco una copia del libro appena presentato, Vidas escritas, sul cui frontespizio aveva aggiunto a penna un beffardo Ceci n’est pas un Marías. E ancora non mi sembrava abbastanza. Così i nomi delle due donne, accostati, formavano un anagramma del nome della mia corteggiata. E l’intera prima pagina del mio racconto celava a sua volta una dedica in forma di acrostico, proprio come il falso sonetto di Hernández: le prime lettere componevano il messaggio “Questo non è un Marías, è un mio omaggio per te”.

Il piano, che non osavo confessare neppure a me stesso tanto era teneramente adolescenziale, prevedeva alcune tappe ulteriori: il racconto l’avrebbe fatta innamorare ancor più di Marías, a quel punto io avrei gettato la maschera e lei, incantata dal mio elaborato omaggio, si sarebbe innamorata di me. Lampada da terra, pianta di ficus, infine principe azzurro. Dopo una scalata simile, ero pronto a sfidare Cyrano de Bergerac a duello. Ahimè, funzionò solo la prima metà della cospirazione. Lei in effetti s’innamorò ancor più di Marías: gli avevo fatto da mezzano! Io rimasi pianta di ficus e presto tornai lampada da terra. Fulminata, per giunta.

Cosa insegna questa storia cavalleresca e galante? Sì, lo so già: che devo aver sofferto da piccolo, che è un miracolo se a scuola i bulli non mi hanno messo la testa nel gabinetto, eccetera. Ma insegna anche altre cose che forse troverai utili per i tuoi tormenti: primo, che sarebbe inutile cercare riferimenti sessuali o erotici nei romanzi del tuo scrittore per fargli proposte sessuali o erotiche, è un passaggio che puoi saltare senza remore. Secondo, che spesso i letterati, lo ammettano o meno, vorrebbero essere desiderati per altro che per i propri talenti letterari – un po’ come la ragazza che sbadiglia davanti al centocinquantesimo “ti hanno mai detto che hai degli occhi incredibili?”. Terzo, che con quella faccenda della sublimazione, troppo presto liquidata e passata di moda, Freud aveva ragione. Oh, quanto aveva ragione.

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