17 agosto 2017 14:59

Gentile bibliopatologo,
ho bisogno – come quando ci prende la voglia improvvisa di cioccolato, di carne o di un piatto di pasta – di leggere qualcosa di filosofico, poi vorrei un giallo (per concedermi una passeggiata) e infine un bel romanzo. Cosa mi suggerisce?
– Emanuela

Cara Emanuela,
mi ricordi il bambino incontentabile di una vecchia pubblicità: “Vorrei qualcosa di nuovo, un gioco e del cioccolato”. Ma non sarà difficile trovare libri in grado di soddisfare tutte e tre le tue voglie, perché alcuni gialli sono anche – come gli ovetti con la sorpresa – bei romanzi e opere filosofiche. Anzi, è un’occasione per liberarti dell’idea, un po’ condiscendente e pregiudiziosa se mi permetti, che i gialli siano l’equivalente letterario di una passeggiata.

Quando non riceveva dall’amico e allievo Norman Malcolm i suoi amati pulp magazine americani, Ludwig Wittgenstein aveva l’impressione che la sua mente restasse “denutrita” – proprio così. Lui di certo ti avrebbe raccomandato Rendez-vous con il terrore di Norbert Davis, il suo romanzo poliziesco preferito. “Può sembrare pazzesco”, scrisse in una lettera a Malcolm del 1948, “ma quando di recente ho riletto il racconto, mi è piaciuto di nuovo a tal punto che davvero vorrei scrivere all’autore per ringraziarlo”. Riuscì a convertire anche George Edward Moore a questa intricata storia di turisti americani in Messico. Non ho mai capito cosa ci trovasse di tanto straordinario; ma è buona norma non accettare caramelle dagli sconosciuti e consigli letterari dai filosofi analitici.

Per venire incontro al tuo sottile disprezzo del romanzo poliziesco potrei indirizzarti verso quegli autori che gli amanti della grande letteratura non si vergognano a portare sotto braccio – Graham Greene, Leonardo Sciascia o Friedrich Dürrenmatt. Ma sarebbe troppo facile, e oltretutto preferisco, nel mio losco piano di rieducazione, che tu sia costretta a tenere tra le mani libri gialli pubblicati in collane gialle, meglio se con copertine gialle. Vedrai che talenti se ne stanno acquattati sotto quel colore malfamato – magari in incognito, come agenti segreti.

Ti consiglio di procurarti un giallo strabiliante che risale al 1937, La ragazza tagliata nel montaggio di Cameron McCabe, pseudonimo dietro cui si nascondeva Ernst Wilhelm Julius Bornemann, un personaggio perfino più interessante del suo libro. Solo negli anni settanta saltò fuori la vera identità di questo socialista berlinese emigrato a Londra dopo l’avvento del nazismo, professore di sessuologia, amico di Wilhelm Reich, funzionario dell’Unesco, musicista jazz, sceneggiatore, consulente di Orson Welles per un ipotetico film tratto dall’Odissea, cultore di Joyce e di Proust – sul loro esempio cercò di trasformare il romanzo poliziesco in una stanza degli specchi filosofica. Non so se la traduzione italiana comprende l’avvincente postfazione dell’edizione Penguin del 1986, a sua volta ripresa da una ristampa del 1981; se leggi l’inglese, procurati quella.

Un altro giallo in grado di esaudire in un colpo solo, come un genio della lampada, i tuoi tre desideri, è La belva deve morire di Nicholas Blake, del 1938. Anche Blake era uno pseudonimo, in questo caso dell’irlandese Cecil Day-Lewis (sì, è il padre di Daniel), poeta e traduttore di Virgilio che fece parte della cerchia di Wystan H. Auden; e proprio a Auden è ispirato Nigel Strangeways, il detective dilettante protagonista di molti suoi libri. La belva deve morire nasconde tesori filosofici e antropologici insospettabili, anche perché Blake, basandosi su Il ramo d’oro di James Frazer, aveva elaborato una teoria del giallo perfino più interessante di quella del suo amico Auden.

Se poi la filosofia che cerchi è meno distaccata dalla vita, se è quella sapienziale dei moralisti classici o quella sottilmente angosciosa degli esistenzialisti, ti consiglio un bellissimo romanzo che è al tempo stesso una danza macabra tardomedievale, un’allegoria crudele e stilizzata della condizione umana e una cupa meditazione sulla giustizia. Ma attenzione, ti toccherà farti vedere in giro con la scrittrice più tenacemente disprezzata dai letterati, Agatha Christie. Perché il libro si chiama Dieci piccoli indiani.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it