08 novembre 2017 16:03

Gentile bibliopatologo,
tendo a comprare libri usati, abbandonati, malandati. Li cerco sui banchi dei rigattieri, dove capita, e li salvo dall’anonimato del ciarpame. Mi capita di trovare all’interno tracce lasciate da chi ha posseduto il libro prima di me, e allora quelle tracce diventano un’ossessione profonda. Invento storie, cerco di risalire ai responsabili dell’orfanità del libro, ma spesso quello che invento e quello che ricordo sono la stessa cosa e faccio confusione. Come farla finita con le nostalgie altrui?
– Luisa R.

Cara Luisa,
che domande: scrivici un libro, no? Se la tua vita immaginativa è così sovrabbondante, se non riesci ad arrestare la tua emorragia affabulatoria, la proliferazione di storie sovrapposte e intrecciate ad altre storie – ricostruite, ricordate, inventate, plausibili, deliranti – non ti resta che convogliare queste acque impetuose nel loro letto naturale, il romanzo. Del resto, non mancano grandi opere che adottano come espediente narrativo il passaggio di mano in mano di un oggetto – pensa alla palla da baseball in Underworld di Don DeLillo – o di un animale: uno dei miei film preferiti, Au hasard Balthazar di Robert Bresson, racconta le migrazioni di un asino da un padrone all’altro. E ci sarebbero cento altri esempi da fare.

C’è però un racconto che fa decisamente al caso tuo. Si chiama Diecimila. Autobiografia di un libro, e lo ha scritto molti anni fa il bibliofilo Andrea Kerbaker. In poche pagine, il volume numero diecimila entrato a far parte della biblioteca di Kerbaker – che immagino come un luogo molto simile al deposito di Paperone – racconta in prima persona la sua storia. Dov’è stato, quali sono le sue vite anteriori, per quali altre mani è passato prima di approdare in quella collezione così popolosa? L’insolito narratore di carta teme che gli sia rimasto ben poco da vivere, perché nella libreria antiquaria che lo ospita temporaneamente ha sentito annunciare a voce alta che lui e i suoi compagni di scaffale, se resteranno invenduti, entro un mese finiranno al macero. Che visione spaventosa! Il povero libro, di cui non conosceremo mai il titolo, pensa con terrore ai possibili destini che gli si prospettano:

Dopo, riciclo. Per divenire, magari, cartone da imballaggio, con l’immagine del bicchiere e le scritte This side up; oppure una scatola di aspirina; o di dentifricio. Forse questo è il destino peggiore: trasformato in un parallelepipedo leggero e sostanzialmente inutile, affollato di indicazioni paramediche che nessuno legge mai, neppure per errore. Comprato in un supermercato e sbattuto in un carrello tra formaggio e insalata; appena a casa, gettato in un cestino insieme ai fazzoletti sporchi. Il sacco nero della spazzatura; l’inceneritore o la discarica. Capolinea. Voi non ci crederete, ma qui giace un romanzo a suo tempo di una certa fama.

E così il libro ci racconta la sua vita lunga quasi un secolo, attraverso il fascismo, il dopoguerra, l’avvento della televisione, e rievoca i tre proprietari per le cui mani è già passato, sperando di attirarne un quarto che lo salvi dal macero. Vorrebbe tanto che fosse una donna, perché gli manca il tocco di una mano femminile, da quando ad accarezzarlo fu la moglie del suo primo proprietario.

Come il suo narratore, Diecimila ha una storia editoriale avventurosa: apparso nel 1999 in una collana che ogni bibliofilo adora, All’insegna del Pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, si ripresentò sui banchi delle librerie vestito di nuovo da Frassinelli nel 2003 e ora deve la sua terza vita all’editore Interlinea. Dopo averlo letto, cara Luisa, non potrai più strappare la pagina di un libro senza avvertire il lamento di una creatura vivente. E scommetto che ti farà venir voglia di dar voce ai tuoi libri di madre ignota, ai tuoi tanti orfanelli salvati “dall’anonimato del ciarpame”.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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