06 dicembre 2018 16:13

Gentile bibliopatologo,
sono disperata. I libri nel mio carrello Amazon aumentano e il tempo va scemando, si dissolve, scompare inesorabilmente. Lavoro in una casa editrice e leggo tutto il giorno. La sera la mia concentrazione vacilla anche se tengo duro per un po’. Cavalli selvaggi sul mio comodino procede lento, sebbene McCarthy sia un amico di vecchia data. Dove lo trovo questo tempo perduto? Da dove far partire la mia recherche? La mia è una richiesta d’aiuto affinché possa proseguire nel cammino dove mi stanno aspettando Franzen, Cheever, Powers, Auster. Non farlo per me, fallo per loro. Aiutami a salvarmi.

–Disperata.91

Cara Disperata,
questa immagine dei libri che si accumulano nel carrello di una libreria elettronica mi vien subito da associarla a un incubo ricorrente, quello del tassametro impazzito, che corre vertiginosamente verso cifre astronomiche mentre il passeggero del taxi ha i brividi freddi d’angoscia. Di qualcosa del genere scrisse Sigmund Freud nel saggio Il sogno, riferendo le libere associazioni suscitate da alcune immagini oniriche: “Mi ero allontanato da una piccola brigata insieme a un amico che si offrì di prendere una carrozza per ricondurmi a casa. ‘Ne preferisco una col tassametro’, mi disse, ‘ci tiene occupati tanto gradevolmente; si ha sempre qualcosa da guardare’. Quando fummo seduti in carrozza e il vetturino mise in funzione il tassametro, facendo apparire i primi sessanta centesimi, continuai il suo scherzo: ‘Siamo appena saliti e già gli dobbiamo sessanta centesimi’. La carrozza a tassametro (…) mi rende avaro e interessato, perché mi ricorda continuamente il mio debito. Mi pare che aumenti troppo in fretta e ho paura di rimetterci”.

Takao Shioguchi, Getty Images

La parola tedesca per debito, Schuld, vuol dire anche colpa. Chissà se avverti qualcosa di simile davanti ai libri che lievitano nel tuo carrello, mentre le lancette corrono inesorabili lasciandoti in debito – e in colpa – a cospetto dei grandi autori (“fallo per loro”, mi scrivi). Ma sotto la colpa, scavando, trovi la tragedia; e se per l’antropologia dell’uomo colpevole, lacerato dal conflitto tra le sue pulsioni e le leggi della civiltà, devi bussare alla porta di Freud, per capire la tragedia – anche la tua tragedia di lettrice – ti conviene far visita a un altro psicoanalista, Heinz Kohut.

All’uomo colpevole Kohut contrappose l’uomo tragico, che è squassato da un conflitto diverso, quello tra il finito e l’infinito, perché – così scrive in Le due analisi del signor Z – “cerca, quasi sempre senza riuscirci, di realizzare nel breve spazio della sua vita il programma esistente nel suo profondo”. Se volessi aggravare la tua angoscia ti direi di aggiungere al carrello già straripante anche Kierkegaard, Unamuno e la Psicologia esistenziale di Rollo May e sodali. I loro taxi ti porterebbero sempre lì, dove stazioniamo tutti: alla coscienza della tragica sproporzione tra l’infinito che ci portiamo dentro e la finitudine dell’esistenza, tra il desiderio di dispiegare le possibilità che intravediamo in noi e il tempo risibile che ci è assegnato per portare a compimento l’impresa.

Le biblioteche sterminate, gli elenchi dei mille classici imprescindibili, i cataloghi senza fondo delle librerie offrono al lettore, come cifrata in un’allegoria, la stessa rivelazione. Inutile dire che non posso far nulla per salvarti, Disperata. Ma posso, questo sì, invitarti ad avvertire il rintocco cupo della tragedia sotto il ticchettìo frenetico dell’angoscia. E se proprio vuoi chiamare un vetturino, rivolgiti a Emilio Cecchi, e fatti portare a spasso cullata dal ritmo ammaliante delle sue Corse al trotto.

A bordo, inutile dirlo, troverai anche un tassametro: “Si corre così da anni e anni, a perdifiato e perdimemoria. Lì davanti il tassametro anch’esso galoppa, con l’affannoso ticchettìo d’un grosso orologio impazzito. La cifra paurosa che nel tassametro cresce a ogni scatto, mai avremo come pagarla, per potere scendere. Ed a questa velocità sempre più disperata, chi ha core di buttarsi disotto? Impassibile, stecchito, il conducente ci volta le spalle. E se gli potessimo vedere il viso, si vedrebbe un teschio”.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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