22 febbraio 2019 14:03

Gentile bibliopatologo,
le edizioni moderne non appagano la mia vista: trovo tristi e sciatte le copertine di oggi, spesso imbrattate da particolari di quadri o (orrore!) di fotografie che mi pare poco o niente abbiano da spartire col racconto. Al contrario mi rendono felici le vecchie edizioni, con le loro copertine rigide, in finta pelle o in tela, monocromatiche e sobrie e con tutt’al più (meraviglia!) qualche ricamo dorato sul dorso. È un problema?

–Lord E.

Caro Lord E.,
se il tuo è un problema, non è un problema nuovo. Lo scrittore Antonio Baldini, in un articolo del 1924 intitolato “Gli editori del mio cuore”, confessava di rimpiangere i libri di vent’anni prima. Con suo disappunto, le case editrici che più aveva amato da ragazzo correvano a rammodernarsi per inseguire un nuovo pubblico; ma io, diceva, sono rimasto col pubblico di prima:

Non c’è di peggio che vedersi cambiare le carte in tavola: vedere che un bel giorno un editore fino allora diletto e rispettato ti vien fuori con delle civetterie tipografiche, con dei fregi e dei caratteri creduti moderni, quasi mostrando di vergognarsi dei vecchi tipi e delle vecchie insegne.

I particolari di quadri o di fotografie che tanto orrore ti suscitano gli avrebbero probabilmente provocato un infarto, perché stava appena cominciando a fare i conti con i disegni sulle copertine, e un’edizione di Giuseppe Parini con un’immagine del poeta nudo in cima a una gradinata – “Nudo l’abate Parini!” – aveva già provato a sufficienza il suo cuore.

Gary S. Chapman, Getty Images

Con la generosità un po’ restìa del conservatore illuminato, Baldini non arrivava a escludere del tutto un disegno sulla copertina di un libro: “Ma si vorrebbe che questo non uscisse da una linea schiettamente ornamentale e soprattutto non si perdesse in trappole allegoriche e cabalistiche”. Di più proprio non gli riusciva di concedere. E tuttavia era molestato da un dubbio, un dubbio che attribuiva a un ipotetico lettore e che subito risospingeva indietro:

Malizioso lettore, tu vuoi dirmi che questa e quell’altra copertina ora mi vanno a genio unicamente perché non ci sono più; e insinuare che finiranno col piacermi quelle d’oggi, una volta scomparse anch’esse e sostituite. Credo che ti sbagli. Le vecchie avevano un indiscutibile sapor popolare e queste nuove altro non sono che pacchiane. Certo, alla vista di quelle vecchie copertine, sulle quali s’è primamente aperto il fiore della mia fanciullezza, il cuore ogni volta si risente.

E il problema, se è un problema, è tutto qui. Ed è ben più antico delle edizioni sobrie e monocromatiche che rimpiangi. Nell’Antropologia pragmatica Immanuel Kant si chiedeva come mai quei soldati svizzeri che nei lunghi periodi al fronte si ammalavano di nostalgia, una volta tornati al loro paese non trovassero sollievo, e si rispondeva così: “Credono che ciò dipenda dal fatto che in quei luoghi tutto è cambiato, ma in realtà è perché non vi ritrovano più la loro giovinezza”. È un’illusione ottica semplice ma potentissima: anche se vedessimo tutti i gesti del mago che la compie sotto i nostri occhi, anche se ci spiegasse il trucco, ci cadremmo lo stesso.

E non è necessario che si tratti di una giovinezza vissuta, può essere anche una giovinezza sognata. Ricordi Midnight in Paris di Woody Allen, dove uno sceneggiatore di Hollywood riesce a tornare magicamente in quella che considera l’età dell’oro, la Parigi degli anni venti, salvo scoprire che lì rimpiangono la belle époque, e che gli artisti della belle époque a loro volta rimpiangono l’Italia del rinascimento? Ecco, funziona così anche con i libri. Io ho cominciato a leggere nella biblioteca di mio padre, fatta per lo più di libri stampati venti o trent’anni prima che io nascessi; e mio padre, a sua volta, era affezionato alle copertine della sua infanzia, quelle del nonno.

A proposito, l’articolo di Baldini è raccolto nel volume Le scale di servizio. Lo trovi in commercio in un’edizione del 2003, con un disegno sulla copertina. Ma io me lo sono procurato nell’edizione sobria e monocromatica del 1971 dell’elegantissimo Riccardo Ricciardi, uno degli editori più rappresentati nella biblioteca paterna. Sono così tristi, le copertine di oggi.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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