02 maggio 2019 17:12

Gentile bibliopatologo,
di mestiere faccio il bibliotecario e, neppure a dirlo, amo circondarmi di libri. Solitamente mi muovo fuori di casa con lo zaino, per comodità e per accompagnarmi con tutto l’occorrente per il lavoro. Da qualche anno, però, uso tutto lo spazio dello zaino per metterci dentro una dozzina di libri da portare sempre con me. Praticamente, una biblioteca mobile. E naturalmente, dei libri che trasporto, è già un successo se riesco a leggerne un paio. Come posso uscirne?

– Matteo S.

Caro Matteo,
ci sono bestiole scavatrici che si preparano con le unghie il bunker della tana, uccelli che creano nidi elegantissimi da rivista di arredamento (peccato siano fatti per lo più di bava), insetti palazzinari che erigono giganteschi comprensori di residenze a basso costo, come le formiche o le termiti. Ma ci sono anche animali selvatici che non hanno bisogno di rifugio e possono dormire beatamente all’aria aperta, perché all’occorrenza sanno difendersi dai predatori correndo all’impazzata. E poi c’è lei, la mite tartaruga, che non ha proprio l’estro della velocista, e che si trascina con flemma la sua casetta-carapace, goffa ma funzionale come una roulotte. A questo inventario di soluzioni abitative gli esseri umani ne hanno aggiunta un’altra che non trova corrispondenze nel regno animale, salvo forse in quei granchi che si tappezzano la corazza con frammenti di carta di giornale a portata di tenaglie. In breve, la nostra specie è in grado di avere come casa un libro.

Jorg Greuel, Getty Images

Diceva Heinrich Heine che la Torah è la “patria portatile” degli ebrei. Nell’attesa di una terra promessa dove metter fine all’erranza e disfare i bagagli, il popolo del Libro ha potuto contare sul piccolo appezzamento di un rotolo di pergamena; e nessuno può negare che fosse una patria ben solida, se ha attraversato i millenni. Ecco, per noi bibliomani la casa è dove sono i nostri libri. E quando la vita ci sballotta tra viaggi, traslochi, sfratti, spostamenti repentini ed emergenze varie, soffriamo della diaspora dei libri più che di ogni altra cosa. Una parte finisce nella soffitta dei genitori, un’altra in una casa di campagna, un’altra nell’appartamento di un amico che ci fa la cortesia di ospitarli, un’altra ancora langue in un magazzino umido, in attesa di conquistare la Biblioteca promessa.

Tutto fa supporre che tu, caro Matteo, condivida questa identificazione tra la patria e la biblioteca, e che l’“aria di casa” – quella che i medici antichi suggerivano come rimedio a molti mali – sia per te l’odore della carta. E non c’è niente di patologico in questo. “I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po’ di pan secco e, nella tasca interna del camiciotto, la Sacra Bibbia. Null’altro”, così esordisce l’ignoto autore dei Racconti di un pellegrino russo. Se ho capito bene, nei tuoi pellegrinaggi fai a meno anche del pan secco, e inzeppi di libri tutto lo spazio che hai a disposizione. Ed è l’unica abitudine che ti raccomando di cambiare. Metti nello zaino un libro per volta, il libro che più degli altri possa valere da epitome della tua casa interiore, la primizia della tua Biblioteca promessa. Alcuni cristiani portano i Vangeli nel taschino. Guido Ceronetti portava la Bhagavadgītā:

Per molti anni, non sono uscito di casa senza aver prima verificato se c’era, nelle mie tasche interne, come una chiave o una medicina d’urgenza, una mia minima edizione dell’adorabile Gītā.

Insomma, caro Matteo, non rovinarti la schiena con decine di libri, scegliti piuttosto un testo sacro a rotazione, e lascia nello zaino spazio sufficiente per una bottiglietta d’acqua e un panino. Non di soli libri vive l’uomo.

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