28 ottobre 2019 16:02

Gentile bibliopatologo,
la mia ossessione è semplice ma profonda: devo leggere libri sempre a gruppi di tre, con un ordine specifico. I primi due libri devono essere schietti, realistici, crudi, e nel caso in cui non meritino grande attenzione mi affretto a finirli velocemente. Il terzo invece dev’essere un racconto con un fondo di riflessione, e totalmente estraneo all’ambito dei primi due. Cosa ne pensa?

– Francesco

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Gentile bibliopatologo,
qualche anno fa mi capitò di finire un romanzo (La casa degli spiriti di Isabel Allende, per la precisione) seduto su una panchina, mentre aspettavo non ricordo più chi o che cosa. Fu per me un’esperienza estatica come poche ne avevo vissute, e la cosa mi piacque a tal punto che da allora, arrivato all’ultimo capitolo di qualsiasi libro, esco a fare due passi nel parco per finirlo lì. Il problema è che, dopo quella prima volta, l’estasi e l’intensità dell’esperienza non si sono più ripetute, neppure con romanzi che mi sono piaciuti ben più di quello della Allende. È come se provassi a inseguire una bellezza che continua a sfuggirmi. La prego, mi aiuti a capire!

– Agostino

Caro Francesco, caro Agostino,
le vostre lettere così diverse formano ai miei occhi una sorta di chiasmo. Tu, Francesco, continui a eseguire un rituale meticoloso di cui hai scordato il senso; e tu, Agostino, ricordi il senso ma non confidi più che il rituale possa ricondurti alla pienezza di quella epifania originaria. A ben vedere, un chiasmo simile al vostro aveva già attirato l’attenzione di Sigmund Freud, che ne scrisse per la prima volta nel 1907 in un breve articolo intitolato Comportamenti ossessivi e pratiche religiose.

Betsie Van der Meer, Getty Images

Da una parte sta il nevrotico ossessivo, che è mosso da un’oscura compulsione ad apportare piccole variazioni codificate su attività abituali come vestirsi, spogliarsi, mettersi a letto, soddisfare le necessità fisiologiche quotidiane. Questi cerimoniali, osservava Freud, visti dal di fuori danno l’impressione di essere semplici formalità, e neppure agli occhi del nevrotico che li compie sembrano voler dire chissà che. Eppure, la più insignificante alterazione della liturgia è causa di angosce profondissime. Dal compimento minuzioso di quei gesti – ripiegare le coperte in un certo modo, disporre i vestiti secondo un ordine invariabile, leggere tre libri per volta con caratteristiche precise come fai tu, caro Francesco – sembra dipendere la tenuta del mondo mentale del paziente, che diversamente cadrebbe in pezzi.

All’origine del rito religioso, invece, sta forse un’esperienza estatica non diversa da quella che hai descritto tu, caro Agostino. Una ierofania, come l’avrebbe chiamata Mircea Eliade, il grande storico della religione nato proprio nell’anno in cui Freud scriveva il suo saggio. Nel luogo di questa manifestazione del sacro – visione, apparizione miracolosa, contatto con esseri soprannaturali – è eretto un tempio, un santuario, un’ara, e si tramandano le parole e i gesti che aprirono quel primo varco tra cielo e terra: è nato un nuovo rito. La tua illuminazione di lettore sulla panchina nel parco non ti ha portato a fondare una religione, ma ti spinge a tornare ogni volta al tuo locus amoenus letterario, nella speranza di sentir soffiare di nuovo qualche refolo di quell’aura magica.

In coda al suo articolo Freud tagliava corto, concludendo che possiamo descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva universale. Nel vostro caso, parlerei piuttosto di due rituali privati di lettura che si fondano l’uno su una minaccia serpeggiante, l’altro sullo struggimento per un’estasi irrecuperabile. Il mio consiglio è semplice: abbandonateli. Tu, Francesco, ti accorgerai che malgrado le tue omissioni di cattivo osservante l’universo non cade a pezzi. E tu, Agostino, scoprirai ciò che anche i più grandi mistici hanno dovuto constatare attraversando lunghi periodi di aridità: che la grazia non si estorce, e che il regno dei cieli mal sopporta la violenza.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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