22 febbraio 2018 17:42

Daniel Day-Lewis ha annunciato che Il filo nascosto, seconda collaborazione con Paul Thomas Anderson dopo Il petroliere, sarà il suo ultimo film. L’annuncio è arrivato prima che il film fosse concluso e non ci sono motivazioni particolari al di là di una scelta privata e personale. Perciò molti sperano che ci ripensi. Ma è anche vero che Day-Lewis sembra una persona seria e che quindi non avrà deciso alla leggera, e inoltre non c’è motivo di dubitare della sua sincerità. Fatto sta che il ruolo del sarto londinese Reynolds Woodcock potrebbe essere l’ultimo per l’unico attore che ha vinto tre premi Oscar (Il mio piede sinistro, Il petroliere e Lincoln) e, almeno per ora, l’unico a poterne vincere un quarto, vista la candidatura per Il filo nascosto.

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Reynolds Woodcock, grande sarto londinese negli anni cinquanta, rappresenta un ritorno a casa per Day-Lewis, nato a Londra alla fine degli anni cinquanta. Woodcock è un uomo difficile, un professionista meticoloso, al limite dell’ossessivo. Vive in una grande casa con la sorella e per mantenere i suoi standard ha bisogno della presenza di una musa che possa ispirarlo. Accanto a lui si alternano quindi molte bellissime ragazze che però, quando non lo ispirano più, sono allontanate. Poi nella vita di Reynold arriva Alma (Vicky Krieps), una musa che riesce a fare breccia nel rigido schema del sarto.

Non sono un fan di Paul Thomas Anderson, sono d’accordo con Christopher Orr dell’Atlantic quando scrive che il regista californiano è andato spesso vicino a realizzare capolavori, senza mai riuscirci davvero. Dopodiché Il filo nascosto ha ottenuto sei nomination agli Oscar (miglior film, regia, attore protagonista, attrice non protagonista, costumi, e colonna sonora, realizzata da Jonny Greenwood) e ottime critiche da parte della stampa internazionale. Fedele alle sue caratteristiche, Daniel Day-Lewis si è preparato a fondo per il ruolo. È andato a imparare il mestiere con i costumisti del New York City Ballet e ha personalmente cucito un modello di Balenciaga. In più, come ricorda sempre Orr sull’Atlantic, probabilmente gli sarà tornato utile il periodo passato a imparare a fare le scarpe con l’artigiano fiorentino Stefano Bemer. Non mancano quindi i motivi per vedere il film.

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The disaster artist, diretto e interpretato da James Franco, racconta la genesi di The room, film del 2003, diventato un cult movie quando è stato individuato come uno dei film più brutti della storia del cinema. The room è una di quelle opere che si possono apprezzare solo in determinate condizioni ambientali. Ma niente a che fare con Imax, home theater o altre squisitezze tecnologiche. Più che altro serve una cerchia stretta di amici e qualche chilo di marijuana. Forse allora si può fare qualche risata. Altrimenti è inguardabile: 99 minuti regalati al demonio. Probabilmente il progetto di James Franco nasce in un contesto del genere, magari simile a quello che ha portato alla realizzazione di un altro progetto totalmente demenziale come Facciamola finita di Seth Rogen ed Evan Goldberg.

E forse non è un caso che accanto a James Franco ci siano proprio Seth Rogen, amico e compagno di tante avventure, da Strafumati in poi, e suo fratello Dave che interpreta Greg Sestero, socio di Wiseau e coprotagonista di The room. Il film di Franco è basato appunto sul libro The disaster artist, in cui Sestero ha voluto raccontare quell’esperienza al limite del surreale. The disaster artist è quindi un metafilm, un film su un film, realizzato da un autore/attore che ha portato il genere del junkie movie alla sua espressione più acclamata: divertente, ma un po’ ripiegato su se stesso.

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Direttamente dal festival di Berlino, dove concorre per l’Orso d’oro, arriva Figlia mia, secondo lungometraggio di Laura Bispuri. Come nel suo primo film, Vergine giurata, la regista romana si concentra su un universo femminile. Due donne, interpretate da Valeria Golino e Alba Rohrwacher, si contendono l’amore di una bimba di dieci anni (Sara Casu), che tutte e due considerano come una figlia. Chi perché l’ha cresciuta, chi perché l’ha messa al mondo. Laura Bispuri nell’Anatomia di una scena che ha realizzato per Internazionale, parla di un confronto tra le due donne degno di un western. L’ambientazione in una Sardegna ancestrale fa il resto.

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