20 marzo 2017 12:58

Negli ultimi anni diverse industrie tessili nel nord della Nigeria sono fallite a causa della crisi economica che ha colpito il paese dopo il crollo delle esportazioni di petrolio. Talba Goni, proprietario di una fabbrica nella zona di Kaduna, racconta di non aver avuto accesso a fondi e prestiti governo per riattivare il suo impianto. La sua fabbrica è fallita soffocata da tasse e burocrazia ma anche per la mancanza di petrolio, sempre più caro, che assicurava il funzionamento dei generatori che forniscono l’energia elettrica.

Goni ha dovuto chiudere il suo impianto quindici anni fa, licenziando più di 2.500 operai. La disoccupazione dilagante è una delle cause che spinge molti uomini nelle file dei jihadisti di Boko haram, rendendo la Nigeria sempre più instabile.

Negli ultimi anni la Cina ha investito sulle poche industrie tessili rimaste aperte, ma la maggior parte degli impianti è chiusa dagli anni ottanta e novanta. Si tratta di investimenti rischiosi, soprattutto in seguito alla decisione della banca centrale di mantenere alto il valore della moneta nigeriana rispetto al dollaro.

Il presidente Muhammadu Buhari vorrebbe far riaprire le fabbriche, in modo da diversificare l’economia del paese: sarebbe un investimento intelligente, creerebbe opportunità lavorative e potrebbe rilanciare l’autonomia economica della Nigeria.

Le foto sono state scattate da Afolabi Sotunde in alcune fabbriche abbandonate di Kaduna, in Nigeria, nel febbraio del 2017.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it