Nel 2011 il fotoreporter spagnolo Manu Brabo si trova in Libia per seguire la guerra civile. Il 5 aprile le forze lealiste dell’esercito di Muammar Gheddafi lo catturano nel deserto libico vicino a Brega. Per quarantacinque giorni è tenuto prigioniero a Tripoli e molto di questo tempo lo passa in isolamento.
Due mesi dopo essere stato liberato, Brabo decide di tornare in Libia alla ricerca dei luoghi in cui è stato detenuto, visitando altre prigioni libiche. Il suo obiettivo è duplice: da un lato cercare di superare un trauma personale che ha cambiato anche il suo modo di concepire il suo lavoro, e dall’altro per testimoniare la crudeltà e le ingiustizie che subiscono i prigionieri, a prescindere dal lato del conflitto in cui combattono.
Nella sua carriera, Brabo ha seguito la recente storia della Libia, dagli scontri tra le forze lealiste e i ribelli durante la battaglia di Sirte del 2011, al vuoto di potere lasciato dalla morte del colonnello Gheddafi, fino all’arrivo dei jihadisti del gruppo Stato islamico.
Le sue immagini sono esposte alla galleria Mudima lab di Milano nella mostra Libia. Illusione di libertà fino al 1 luglio 2017. Brabo è intervenuto su alcune delle foto inserendo pensieri personali e testimonianze: “Il tentativo con questo lavoro è quello di raccontare la rabbia, la furia, gli abusi e le torture. Ma soprattutto l’autoannientamento dovuto dalla mutilazione del più grande dei nostri desideri come esseri umani, la libertà”.
La mostra è il secondo appuntamento del progetto Guerre, organizzato da Mudima lab, dedicato ai fotogiornalisti che lavorano in zone di conflitto.
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